Il Percorso nel Cammino dei Neo CatecumeniLunedì 5 dicembre 2022 accadde che si incontrarono, dicendo Si a un perseverante invito, alcuni fedeli desiderosi di condividere alcuni momenti del tempo della loro vita alla reciproca condivisione di “qualcosa” di presente in loro e con loro. 
continua……..
Il perseverante invito era ed è opera del Signore per mezzo di Padre Cristian, Sacerdote Cileno ora in terra italiana e in attività presso la Parrocchia di Santa Paola Romana coadiuvato da alcuni educatori con esperienza pluriennale presenti nella Parrocchia di San Giuseppe al Trionfale.
Si iniziò un percorso composto di alcune fasi ben cadenzate e inamovibile, quindi  certe,  nello scorrere del tempo quotidiano utili a stabilire un ordine educativo in cui i cardini sono la così detta: “Liturgia della Parola” ovvero uno studio approfondito di un termine biblico già stabilito nella successione dell’elenco predisposto dagli educatori, da organizzare nella celebrazione e studio nei giorni precedenti il martedì in cui viene “celebrato”;
“Liturgia Eucaristica”ovvero la sua celebrazione nel giorno del sabato in cui i partecipanti condividono l’eucarestia in una liturgia sui generis, con uso locale,  contemplata nei canoni della Chiesa Universale e con molti singolari tempi liturgici in cui è evidente la matrice canora contemplativa ed evocativa, con accenni alle usanze folcloristiche, assunte da località probabilmente ispaniche e sud americane ove l’uso dell’accompagnamento con il battito delle mani e il ballo del canto liturgico è usuale, e tendente alla spontaneità espressiva non propriamente eucaristica e consona alla santità del sacramento che la Comunità, guidata dal Sacerdote Celebrate, partecipa.
Momento singolare e fondamentale in tale celebrazione è  lo svolgimento della Omelia che nasce dalla spontanea partecipazione orante dei fedeli che esprimono il loro vissuto più recondito e nascosto tendenzialmente con incoscienza trascendente, con liberi tempi in cui narrano il vissuto delle grazie chieste a Nostro Signore e ricevute, anche di semplice svolgimento nella quotidianità, ma che accompagnalo il fedele nei momenti di smarrimento della certezza e di conseguenza della coscienza della vicinanza che godono del Signore, che ricevono nuovamente per grazia.
La assunzione della specie eucaristica è nella formula del pane corpo di Cristo e vino, sangue di Cristo condiviso contemporaneamente e unitamente da unica fonte:
un solo pane azzimo frazionato e assunto dai partecipanti;
un solo calice con il vino in unica fonte assunto dal medesimo calice da tutti i partecipanti.
È singolare che durante l’elevazione i fedeli partecipanti non si inginocchiano in “adorazione” nonché un particolare canto finale successivo all’assunzione del corpo e sangue di Cristo eucaristici, accompagnato e espresso gestualmente con una “danza rituale intorno all’altare.
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Spunti per riflessioni raccolte da testi consultati in Archivi pubblici.
È doveroso a tal punto avere coscienza che Giovanni Paolo II, con la “Ecclesia de Eucharistia, n. 52”chiarisce che: « … A nessuno è concesso di sottovalutare il Mistero affidato alle nostre mani: esso è troppo grande perché qualcuno possa permettersi di trattarlo con arbitrio personale, che non ne rispetterebbe il carattere sacro e la dimensione universale.»
Il succo delle indicazioni della lettera Vaticana al movimento neocatecumenale riguarda anche le modalità di distribuzione dell’Eucaristia:
se è stato approvato l’uso del pane e del vino, viene però richiamata l’attenzione alla loro distribuzione non intorno alla ‘mensa‘ ma processionalmente da parte del presbitero.
Non si tratta di un dato solo formale, dal momento che i neocatecumenali pongono l’accento sul ‘banchetto‘ e vivono e sottolineano la convivialità a decremento del ‘sacrificio‘.
Osservate le dimensioni impressionanti della ‘mensa’, rispettivamente, di Porto S. Giorgio e della Domus Galileae, ques’ultima predisposta per la missione dei sacerdoti in Europa del 2006, con la channucchià al posto della croce!           
Il discorso è complesso e da non sottovalutare, perché da come viviamo, interpretiamo e celebriamo questi momenti ne va dell’autenticità e della profondità del nostro rapporto con il Signore secondo i Suoi insegnamenti trasmessi nella e dalla Chiesa. Lex orandi, lex credendi!
Vivere la liturgia, alla presenza del Signore, così come Lui ci ha insegnato, è indispensabile per riattualizzare per noi, per la Chiesae per il mondo il ‘memoriale‘ della sua morte e resurrezione, perché si operi nella nostra vita e nella nostra storia – e nella storia – la trasformazione e la ricapitolazione di tutto quanto connota il nostro essere-nel-mondo secondo la volontà del Padre: “Eccomi, io vengo…”
Certamente tutto questo non può avvenire se il sacramento viene snaturato oltre che nella sua forma anche nella sua sostanza.
Magari può venir fuori una terapia di gruppo (grande spazio alle risonanze) – e non sempre è scontato che succeda neppure questo -, una dinamica esaltante e consolatoria (canti esaltanti, ballo finale), un salutare approccio con la Scrittura; ma tutto questo nulla ha a che fare con l’Eucarestia.
In sintesi:
La Messaper i neocatecumenali non è un “sacrificio” e quindi in luogo dell’altare, non c’è che la mensa, e nell’Eucaristia si celebra un convito di festa fra fratelli uniti dalla medesima fede nella Risurrezione, ma in riferimenti all’esodo e alla Pasqua ebraica;
il pane e il vino consacrati sono soltanto il simbolo della presenza del Cristo risorto, che si esaurisce con la celebrazione ed unisce i commensali comunicando loro il proprio spirito, rendendoli partecipi del suo trionfo sulla morte.
Conseguenza della predicazione neocatecumenale secondo la quale la passione e morte di Cristo non è stata un vero sacrificio offerto al Padre per riparare il peccato e redimere l’uomo, che resta inesorabilmente peccatore (il che è vero, ma non si tiene conto dell’effetto della grazia) e, per godere i frutti della sua opera, basta riconoscersi peccatori e credere nella potenza del Cristo risorto (il che elimina totalmente la ‘risposta’ e la responsabilità personale).
E così anche le parole della consacrazione “questo è il mio Corpo offerto in sacrificio per voi” non hanno il significato pregnante custodito dalla Chiesa e quindi l’Eucaristia non viene vissuta in tutta la sua sacralità, potenza trasformatrice, momento fondante e sorgente inesauribile della vita di fede nel Signore, riattualizzazione della sua MORTE E RISURREZIONE ‘
fate QUESTO in memoria di me’
È per questo che le celebrazioni, pur ricche del fervore dei canti e delle risonanze alla Parola proclamata, che molta presa hanno sulla emotività delle persone, alla fine sono altra cosa rispetto alla celebrazione ‘cattolica‘ che viviamo come ci è stata trasmessa dalla Chiesa.
Nelle celebrazioni neocatecumenali abbiamo visto tanta esaltazione e poco raccoglimento ed anche banalizzazione del mistero (…prima di celebrare i ‘sacri misteri’… ricordate?)
Viene negata anche la ‘Comunione dei Santi’ ritenendo che lo Spirito circoli solo ed esclusivamente nella concreta ristretta comunità di appartenenza. È per questo che le celebrazioni sono così parcellizzate ed escludono la grande Assemblea dei fedeli della Parrocchia.
E viene quindi negata la nostra unione con la Chiesa Trionfante, che ci immette in una realtà che è il vero ‘mondo a venire’ il Regno già qui sulla nostra tribolata terra e nella nostra vita e nella nostra storia. E la consapevolezza che nella celebrazione si realizza la comunione non solo con l’assemblea dei presenti, ma anche con tuttala Chiesa di ieri di oggi di domani, terrestre e celeste, nel tempo e fuori del tempo contemporaneamente.
Poste queste non banali divergenze con il ‘sensus fidei’ trasmesso dalla Chiesa, la celebrazione liturgica perde tutta la sua solennità e la sua bellezza e crediamo venga snaturata della sua realtà più vera.
Il pensiero di Benedetto XVI sul modo di celebrare l’Eucaristia è bene espresso nel libro “Rapporto sulla Fede”. In esso è riportata l’intervista di Vittorio Messori all’allora Card. Joseph Ratzinger. A pag. 130 leggiamo: «La Liturgia non è uno show, uno spettacolo che abbisogni di registi geniali e di attori di talento. La Liturgia non vive di sorprese “simpatiche”, di trovate “accattivanti”, ma di ripetizioni solenni. Non deve esprimere l’attualità e il suo effimero ma il mistero del Sacro. Molti hanno pensato e detto che la Liturgia debba essere “fatta” da tutta la comunità, per essere davvero sua. È una visione che ha condotto a misurarne il “successo” in termini di efficacia spettacolare, di intrattenimento. In questo modo è andato però disperso il proprium liturgico che non deriva da ciò che noi facciamo, ma che qui accade. Qualcosa che noi tutti insieme non possiamo proprio fare. Nella Liturgia opera una forza, un potere che nemmeno la Chiesa tutta intera può conferirsi: ciò che vi si manifesta è l’assolutamente Altro che, attraverso la comunità (che non è dunque padrona ma serva, mero strumento) giunge sino a noi. Per il cattolico, la Liturgia è la Patria comune, è la fonte stessa della sua identità: anche per questo deve essere “predeterminata”, “imperturbabile”, perché attraverso il rito si manifesta la Santità di Dio. Invece, la rivolta contro quella che è stata chiamata “la vecchia rigidità rubricistica”, accusata di togliere “creatività”, ha coinvolto anche la Liturgia nel vortice del “fai-da-te”, banalizzandola perché l’ha resa conforme alla nostra mediocre misura».
Negli “Orientamenti alle équipes di catechisti per la fase di conversione”, viene riportate questa catechesi di Kiko: “Non c’è Eucaristia senza assemblea. È un’assemblea intera che celebra la festa e l’Eucaristia; perché l’Eucaristia è l’esultazione dell’assemblea umana in comunione; perché il luogo preciso in cui si manifesta che Dio ha agito è in questa Chiesa creata, in questa comunione. È da questa assemblea che sgorga l’Eucaristia” (p. 317).
Il Papa Giovanni Paolo II nell’enciclica “Ecclesia De Eucharistia ” (2003), al n. 31, scrive invece: “Si capisce, dunque, quanto sia importante per la vita spirituale del Sacerdote, oltre che per il bene della Chiesa e del mondo, che egli attui la raccomandazione conciliare di celebrare quotidianamente l’Eucaristia, “la quale è sempre un atto di Cristo e della Sua Chiesa, anche quando non è possibile che vi assistano fedeli”.
Vogliamo ricordare che ogni vero cristiano è consapevole di quanto sia importante il coinvolgimento dell’assemblea, ma non si sognerebbe mai di dimenticare che il sacerdote celebra ‘in persona Christi’, il cristiano vive, partecipa, accoglie, loda, ringrazia, adora… e l’assemblea non è formata soltanto dalla sua comunità, ma è in comunione con la Chiesa di ieri di oggi di domani, terrestre e celeste, nel tempo e fuori del tempo contemporaneamente.
Se c’è del positivo, nel richiamare l’attenzione sulla maggiore concretezza e coinvolgimento con i fratelli per viverlo comunitariamente, i contenuti formativi non sono quelli insegnati nella e dalla Chiesa e, in realtà, si determina una grande concentrazione dell’esperienza nell’ambito delle singole comunità con vera e propria esclusione degli ‘altri’.
Aggiungiamo anche che, nell’Eucaristia vissuta secondo gli insegnamenti della Chiesa, si realizza quell’ “eccomi”, così totalizzante e pregnante che coinvolge la nostra vita a 360 grandi in tutta la sua ampiezza (pensieri, desideri, impegni, azioni e relazioni rapporti con gli altri) e spessore (profondità del nostro essere e sua relazione con gli altri, con il mondo e con il Signore). È difficile da spiegare così, è più bello ed efficace dirselo a voce e soprattutto viverlo. Quel fate QUESTO in memoria di ME è il punto chiave di tutto. Cosa intendiamo per QUESTO? Se si tratta del dono totale di noi al Padre, perché, ‘ricordandosi’ (ri-attualizzazione, non semplice ricordo) del Suo Figlio, operi anche in noi la trasformazione in Cristo, accettando il nostro affidamento-dono totale e trasformandolo in ‘sacrificio santo perenne gradito a Dio’ e non solo nel momento dell’Eucaristia, ma facendo di noi un’ ‘Eucaristia vivente’, allora forse c’è un qualcosa d’altro e di oltre a quel che dice Kiko e non ci sembra ininfluente per una fede cristiana vera.
Ribadiamo dunque che non è la stessa cosa celebrare un ‘banchetto escatologico’ (insegnamento neocat) o il ‘sacrificio di Cristo’, nato morto e risorto che poi ci invita ANCHE al ‘banchetto‘ nuziale d’intimità con Lui, preparato dal Padre prima di tutti i secoli (insegnamento della Chiesa). Fa differenza, e non poco, perché se partecipo solo a un convito, sono un commensale, che condivide l’allegria (le inaudite parole di Kiko al Papa) se partecipo a un sacrificio, sono uno che si dona e riceve da Cristo il dono di donarsi come ha fatto LUI e come di certo non insegna Kiko… [vedi anche sua intervista del giugno 2008]
A seguito dell’approvazione dello Statuto, ci soffermiamo in particolare sull’art.13 che rinvia, nella sua nota 49:
alla lettera del card. Arinze,
al discorso di Benedetto XVI del 12 gennaio 2006 e
alla Notificazione della Congregazione per il Culto Divino ela Disciplinadei Sacramenti che prevede come sole concessioni, la comunione sotto le due specie e lo spostamento “ad experimentum” del segno della pace.
Mentre la Letteradel Card. Arinze, oltre alle peculiarità evidenziate, richiama al rispetto dei libri liturgici. il Santo Padre nel suo discorso la ricorda: “ha impartito a mio nome alcune norme concernenti la Celebrazione eucaristica“, riportiamo – dalla Istruzione Redemptionis Sacramentum:
[77.] In nessun modo si combini la celebrazione della santa Messa con il contesto di una comune cena, né la si metta in rapporto con analogo tipo di convivio. Salvo che in casi di grave necessità, non si celebrila Messasu di un tavolo da pranzo[159] o in un refettorio o luogo utilizzato per tale finalità conviviale, né in qualunque aula in cui sia presente del cibo, né coloro che partecipano alla Messa siedano a mensa nel corso stesso della celebrazione.
[79.] Infine, va considerato nel modo più severo l’abuso di introdurre nella celebrazione della santa Messa elementi contrastanti con le prescrizioni dei libri liturgici, desumendoli dai riti di altre religioni.
Alla luce di quanto accade nella realtà: Assemblea seduta intorno all’enorme mensa; risonanze; assenza di Adorazione alla Consacrazione anche col divieto di inginocchiarsi; prevalenza di simboli ebraici non solo esteriori ma anche nella teologia che sottende il rito; danza davidica finale, possiamo effettivamente dire che i neocatecumenali NON rispettano il loro statuto.
E, non rispettandolo, non rispettano la volontà del Papa.
Possiamo e dobbiamo dirlo, ma poi?
Ci imbatteremo sempre nelle loro piroette, nell’arroganza e nella prepotenza che conferisce loro la sicurezza e la certezza di essere protetti dai loro potenti sponsor curiali, forti pur sempre di un’approvazione, per quanto anomala essa sia…
Tutto lo statuto, così com’è formulato (anche col silenzio su tante prassi anomale non regolate), è fatto per dare veste formale al cammino e risulta volutamente ‘fumoso’: frutto di un “dire e non dire” che – attraverso allusioni decriptabili solo da chi può leggere tra le righe perché conosce il cammino dall’interno e lo valuta col giusto spirito critico – fa diventare ‘commestibile’ ciò che commestibile non è… e ne conosciamo tutti i motivi: questo sito li ha ben documentati.
Ma non sarà di certo la triste evidenza delle potenti protezioni e della inarrestabile invasione di tutta la realtà ecclesiale che ci farà rinunciare a denunciare le serie storture prodotte da insegnamenti e prassi che fanno del cammino un’”entità” a sé, dai connotati giudeo-luterano-gnostici, identificabili solo frequentandolo perché molto ben criptati sia dallo statuto che dalla propaganda ingannevole presso le diocesi, le parrocchie e sul web
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Continuiamo citando dalla Misterium Fidei di Paolo VI
 [...] 4. E affinché sia evidente l’intimo nesso tra la fede e la pietà, i padri del Concilio, confermando la dottrina che la Chiesa ha sempre sostenuto e insegnato e il Concilio di Trento ha solennemente definito, hanno voluto premettere alla trattazione del sacrosanto Mistero Eucaristico questa sintesi di verità: « Il nostro Salvatore nell’ultima Cena, la notte in cui fu tradito, istituì il Sacrificio Eucaristico del suo corpo e del suo sangue, a perpetuare così il sacrificio della Croce nei secoli fino al suo avvento, lasciando in tal modo alla sua diletta Sposa, la Chiesa, il memoriale della sua morte e della sua risurrezione: sacramento di pietà, segno di unità, vincolo di carità, convito pasquale, in cui si riceve Cristo, l’anima si riempie di grazia e ci si largisce il pegno della gloria futura ».(1)
5. Con queste parole si esaltano insieme il Sacrificio, che appartiene all’essenza della Messa celebrata quotidianamente, e il Sacramento, di cui i fedeli partecipano con la santa Comunione mangiando la carne di Cristo e bevendone il sangue, ricevendo la grazia, che è anticipazione della vita eterna; e la «medicina dell’immortalità », secondo le parole del Signore: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno.(2) [...]
Motivi di sollecitudine pastorale e di ansietà
9. Tuttavia, Fratelli Venerabili, non mancano, proprio nella materia che ora trattiamo, motivi di grave sollecitudine pastorale e di ansietà, dei quali la coscienza del Nostro dovere Apostolico non ci permette di tacere.
10. Ben sappiamo infatti che tra quelli che parlano e scrivono di questo Sacrosanto Mistero ci sono alcuni che circa le Messe private, il dogma della transustanziazione e il culto eucaristico, divulgano certe opinioni che turbano l’animo dei fedeli ingerendovi non poca confusione intorno alle verità di fede, come se a chiunque fosse lecito porre in oblio la dottrina già definita dalla Chiesa, oppure interpretarla in maniera che il genuino significato delle parole o la riconosciuta forza dei concetti ne restino snervati.
11. Non è infatti lecito, tanto per portare un esempio, esaltarela Messacosì detta «comunitaria» in modo da togliere importanza alla Messa privata; né insistere sulla ragione di segno sacramentale come se il simbolismo, che tutti certamente ammettono nella ss. Eucaristia, esprimesse esaurientemente il modo della presenza di Cristo in questo Sacramento; o anche discutere del mistero della transustanziazione senza far cenno della mirabile conversione di tutta la sostanza del pane nel corpo e di tutta la sostanza del vino nel sangue di Cristo, conversione di cui parla il Concilio di Trento, in modo che essi si limitino soltanto alla «transignificazione» [predicata da Kiko] e «transfinalizzazione» come dicono; o finalmente proporre e mettere in uso l’opinione secondo la quale nelle Ostie consacrate e rimaste dopo la celebrazione del sacrificio della Messa Nostro Signore Gesù Cristo non sarebbe più presente.
12. Ognuno vede come in tali opinioni o in altre simili messe in giro la fede e il culto della divina Eucaristia sono non poco incrinati.
13. Affinché dunque la speranza, suscitata dal Concilio, di una nuova luce di pietà Eucaristica, che investe tuttala Chiesa, non sia frustrata e inaridita dai semi già sparsi di false opinioni, abbiamo deciso di parlare di questo grave argomento a voi, Venerabili Fratelli, comunicandovi sopra di esso il Nostro pensiero con apostolica autorità.
14. Certamente noi non neghiamo in coloro che divulgano tali opinioni il desiderio non disprezzabile di scrutare un sì grande Mistero, sviscerandone le inesauribili ricchezze e svelandone il senso agli uomini del nostro tempo; anzi riconosciamo e approviamo quel desiderio; ma non possiamo approvare le opinioni che essi esprimono e sentiamo il dovere di avvisarvi del grave pericolo di quelle opinioni per la retta fede.
Confrontiamola con l’insegnamento di Kiko tratto dagli “Orientamenti
“Gesù Cristo gli dà ancora un altro nuovo significato, un nuovo contenuto al segno: questo pane è il mio corpo che si consegna alla morte per voi. Gesù Cristo non si inventa il segno che era antichissimo; dà pienezza al segno, un nuovo significato. Perché lui compiela Pasqua, lui compie il passaggio dalla schiavitù della morte alla terra promessa che è l’arrivo al Padre,… la vera Gerusalemme” (OR, p. 306).
“Con il Concilio di Trento, nel XVI secolo, si fissa tutto rigidamente.
“In quest’epoca nascono tutte le filosofie sull’Eucarestia.
“Quando non si capisce quello che è il sacramento, a causa della svalorizzazione enorme dei segni come sacramenti, e quando non si capisce quello che è il memoriale, si comincia a razionalizzare, a voler dare spiegazioni del mistero che c’è dentro. Precisamente perché, il mistero trascende la sua unica spiegazione, c’è il sacramento. Il sacramento parla più dei ragionamenti. Ma a quel tempo, poiché non si capisce…, si cerca di dare spiegazioni filosofiche del mistero. E così incominciano i dibattiti su: “come è presente?” Lutero non negò mai la presenza reale, negò solo la parolina ‘transustanziazione’ che è una parola filosofia (sic) che vuole spiegare il mistero.
“La Chiesaprimitiva non ha mai avuto problemi circa la presenza reale… Ma la cosa più importante non sta nella presenza di Gesù Cristo. Egli dice: “Per questo sono venuto: per passare da questo mondo al Padre”. Ossia, la presenza fisica nel mondo ha uno scopo che è il resuscitare dalla morte. Questa è la cosa importante. La presenza è un mezzo per il fine che èla Suaopera: il mistero di Pasqua. La presenza è in funzione dell’Eucarestia, della Pasqua” (OR, p. 325). Nell’intervista rilasciata nel giugno 2008, il giorno dopo l’approvazione degli Statuti, Kiko esprime apertamente i riferimenti alla Pasqua ebraica.
È forse questa la ‘iniziazione cristiana cattolica’, che in ogni caso non è monopolio del cammino, che di questa espressione ha fatto il suo ‘cavallo di Troia’ per introdursi sempre più aggressivamente nella Chiesa, minandone l’unità e le verità dal di dentro…?
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 Ulteriori osservazioni:
1. DALL’ORIENTAMENTO ALLE EQUIPE DI CATECHISTI DEL CAMMINO NEOCATECUMENALE DI KIKO ARGUELLO:
“Il pane e il vino non sono fatti per essere esposti, perché vanno a male. Il pane e il vino sono fatti per essere mangiati e bevuti. Io dico sempre ai sacramentini che hanno costruito un tabernacolo immenso: se Gesù Cristo avesse voluto l’Eucaristia per stare lì, si sarebbe fatto presente in una pietra che non va a male.
 Il pane è per il banchetto, per condurci alla Pasqua.
La presenza reale è sempre un mezzo per condurci ad un fine, che è la Pasqua.
Non è assoluto.
Gesù Cristo è presente in funzione del mistero Pasquale.”
Ecco il perché i NC NON SI INGINOCCHIANO MAI durantela Consacrazione.
Ecco anche perché non ammettevano l’Adorazione Eucaristica.
Solo da poco, pensiamo per i rilievi mossi, ma anche per l’importanza dell’Adorazione più volte richiamata dai nostri Papi, almeno a Roma, nella Parrocchia dei Martiri Canadesi, la fanno, introdotta di recente del tutto ostentatamente, una sola volta al mese.
2. TRATTO DAL LIBRO “INTRODUZIONE ALLO SPIRITO DELLA LITURGIA
DI J. RATZINGER
“…La transustanziazione (trasformazione del pane e del vino), l’adorazione del Signore nel Sacramento, il culto eucaristico con l’ostensorio e le processioni – tutte queste cose, ci viene detto, non sono che errori medievali, da cui bisognerebbe distanziarsi il più presto possibile.
La superficialità con cui vengono messe insieme idee di questo genere può solo suscitare meraviglia…. …Nessuno dica allora:
l’Eucaristia deve essere mangiata e non adorata. … la Comunione raggiunge la sua profondità solo quando è sostenuta e compresa dall’adorazione…”
La nostra fede ci fa essere d’accordo col secondo, e non col primo.
In conclusione, secondo la dottrina cattolica, Jesuah ha Nozrì, il Mashiah, Figlio di Dio, si trova “veramente” nell’Eucaristia e non simbolicamente; “sostanzialmente” e non con una presenza soltanto virtuale o temporanea; “realmente” e non in ragione della nostra fede, interamente con tutto il suo corpo, con tutta la sua anima e con tutta la sua divinità.
La verità non detta è che Kiko e Carmen si sono fermati alla “lavanda dei piedi“, che è un “rito di inversione” che introduce al discepolato (questo è il vero significato dello “stare seduti” – detto anche nella lettera al Papa – mentre Cristo passa a “servirli”!!!!) ma l’ultima cena, oltre alla lavanda dei piedi e a poter essere vista come “banchetto nuziale, escatologico“, come certamente è, riporta all’istituzione dell’Eucaristia e alla prefigurazione del Calvario e della Resurrezione (per che cosa dunque si chiama Eucaristia, cioè rendimento di grazie, lode, ecc.???!!!)
È questo il vero significato cattolico della Messa, non solo l’iniziazione al discepolato durante un banchetto ed inoltre, per la Chiesa, la lavanda dei piedi è anche il simbolo della Confessione Sacramentale, che è chiesta dal Signore per essere “mondi” alla partecipazione del Sacrificio!
E tutta la celebrazione è un rendimento di grazie (non solo il momento del ringraziamento finale come subdolamente predica Kiko criticando la Chiesanelle sue catechesi (OR, p. 330) e una riattualizzazione del ‘mistero pasquale’, ma non per vivere solo il momento della ‘Risurrezione’, ma il mistero nella sua interezza: ‘Passione, Morte e Risurrezione’ del Signore Gesù…
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Ancora sull’Eucaristia:
La Chiesa, oltre che con gli esempi ufficiali dei nostri Papi, si è espressa molto chiaramente per quanto concerne la celebrazione dell’Eucaristia in documenti chiarissimi: ne citiamo soltanto tre: “Misterium fidei” di Paolo VI, la “Mane nobiscum domine” e la “Redemptionis Sacramentum“, fortemente voluti dal defunto pontefice, quasi a suggello del suo grandioso pontificato ed eredità comune per tutti i credenti.
Peraltro lo stesso Ratzinger, ancora cardinale nel documento “La Comunione nella Chiesa“, a pagina 110 , commentando la Lettera ai Corinzi, affermava: “Lo sguardo dell’apostolo è al riguardo innanzitutto rivolto alla comunità locale di Corinto, che ha perduto il vero senso del radunarsi, nella misura in cui i gruppi pur essendo gli uni accanto agli altri tuttavia rimangono separati. Ma l’orizzonte al di là della dimensione locale si apre sulla Chiesa nel suo insieme:tutte le assemblee eucaristiche nel loro insieme sono in realtà un’assemblea, perché il corpo di Cristo è soltanto uno e il popolo di Dio può essere soltanto uno….le comunità devono celebrare l’Eucaristia in tal modo che esse possano radunarsi tutte tra di loro, a partire da Cristo e per mezzo di Cristo. Chi non celebra l’Eucaristia con tutti, fa solo una caricatura dell’Eucaristia. Si celebra l’Eucaristia con l’unico Cristo e pertanto con tutta la Chiesa o non si celebra affatto. Chi nell’Eucaristia cerca solo il proprio gruppo, chi in essa o attraverso di essa non si inserisce in tutta quanta la Chiesa e non oltrepassa il suo punto di vista particolare, egli fa esattamente ciò che viene rimproverato ai Corinzi. Egli si siede, per così dire, con la schiena rivolta verso gli altri e distrugge così l’Eucaristia per lui stesso e la disturba per gli altri. Egli fa allora soltanto la sua cena e disprezza la Chiesa di Dio (1 Cor. 11,21ss)”.
Ma come può ritrovarsi dentro tali schemi colui il quale, digiuno di ogni fondamento teologico, sinceramente ma disarmato e sprovvisto di ogni capacità di riflessione, si accosta all’Eucaristia in chiave neocatecumenale? Alla fine succede che “rifiuta” ogni altra Eucaristia celebrata fuori dal Cammino come rituale non inconcludente, ma nettamente inferiore per portata e contenuto!
Personalmente ho vissuto un grande disagio nell’ascoltare quella predicazione aberrante e anche nel vivere il momento della ‘comunione‘ nel ‘grande chiasso’ o quello finale del ringraziamento nella sguaiatezza (le cosiddette esaltanti danze davidiche) invece che nella intimità col Signore, che ero – e sono – solita ‘gustare‘ nelle celebrazioni cosiddette ‘normali‘, quelle dei cristiani di serie B senza chitarre, canti ritmici dallo stile gitano, capaci di esaltare e proiettarci fuori di noi stessi più che di raccogliere le potenze del nostro animo per rivolgerle al Signore.
Che dire poi della preghiera Eucaristica II, la sola usata dai neocatecumenali, nella quale il sacerdote ringrazia Dio “per averci ammessi alla tua presenza a compiere il sevizio sacerdotale”, confondendo il suo ruolo Ministeriale, con il sacerdozio comune… (cavalcato, distorcendolo, sempre da Lutero e seguaci vari…)?
Non a caso la lettera di Arinze richiede al punto 6):
6. Il Cammino Neocatecumenale deve utilizzare anche le altre Preghiere eucaristiche contenute nel messale, e non solola Preghieraeucaristica II.
È opportuno inoltre non trascurare, sull’Eucaristia, altre riflessioni basate, la prima, sull’Ordinamento generale del messale romano e la seconda sul Catechismo della Chiesa Cattolica. Degli importanti documenti, ritenuti irrilevanti per chi si nutre solo delle catechesi kikiane, si trascrivono i punti d’interesse:
Dall’Ordinamento generale del Messale romano
 44. Fra i gesti sono comprese anche le azioni e le processioni: quella del sacerdote che, insieme al diacono e ai ministri, si reca all’altare; quella del diacono che porta all’ambone l’Evangeliario o il Libro dei Vangeli prima della proclamazione del Vangelo; quella con la quale i fedeli presentano i doni o si recano a ricevere la Comunione. Conviene che tali azioni e processioni siano fatte in modo decoroso, mentre si eseguono canti appropriati, secondo le norme stabilite per ognuna di esse.
86. Mentre il sacerdote assume il Sacramento, si inizia il canto di Comunione: con esso si esprime, mediante l’accordo delle voci, l’unione spirituale di coloro che si comunicano, si manifesta la gioia del cuore e si pone maggiormente in luce il carattere «comunitario» della processione di coloro che si accostano a ricevere l’Eucaristia. Il canto si protrae durante la distribuzione del Sacramento ai fedeli. Se però è previsto che dopo la Comunione si esegua un inno, il canto di Comunione s’interrompa al momento opportuno.
Si faccia in modo che anche i cantori possano ricevere agevolmente la Comunione.
160. Poi il sacerdote prende la patena o la pisside e si reca dai comunicandi, che normalmente si avvicinano processionalmente.
Non è permesso ai fedeli prendere da se stessi il pane consacrato o il sacro calice, tanto meno passarselo di mano in mano. I fedeli si comunicano in ginocchio o in piedi, come stabilito dalla Conferenza Episcopale. Quando però si comunicano stando in piedi, si raccomanda che, prima di ricevere il Sacramento, facciano la debita riverenza, da stabilire dalle stesse norme.
Stralcio dal Catechismo della Chiesa Cattolica
1373 « Cristo Gesù, che è morto, anzi, che è risuscitato, sta alla destra di Dio e intercede per noi » (Rm 8,34), è presente in molti modi alla sua Chiesa: [Cf Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 48: AAS 57 (1965) 53.] nella sua parola, nella preghiera della Chiesa, « dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro » (Mt 18,20), nei poveri, nei malati, nei prigionieri, [Cf Mt 25,31-46.] nei sacramenti di cui egli è l’autore, nel sacrificio della Messa e nella persona del ministro. Ma « soprattutto [è presente] sotto le specie eucaristiche ». [Concilio Vaticano II, Cost. Sacrosanctum Concilium, 7: AAS 56 (1964) 100-101.]
1374 Il modo della presenza di Cristo sotto le specie eucaristiche è unico. Esso pone l’Eucaristia al di sopra di tutti i sacramenti e ne fa « quasi il coronamento della vita spirituale e il fine al quale tendono tutti i sacramenti ». [San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, III, q.73, a. 3, c: Ed. Leon. 12, 140.]
Nel Santissimo Sacramento dell’Eucaristia è contenuto veramente, realmente, sostanzialmente il Corpo e il Sangue di nostro Signore Gesù Cristo, con l’anima e la divinità e, quindi, il Cristo tutto intero. [Cf Concilio di Trento, Sess. 13a, Decretum de ss. Eucharistia, canone 1: DS 1651.]
« Tale presenza si dice “reale” non per esclusione, quasi che le altre non siano “reali”, ma per antonomasia, perché è sostanziale, e in forza di essa Cristo, Dio e uomo, tutto intero si fa presente ». [Paolo VI, Lett. enc. Mysterium fidei: AAS 57 (1965) 764.]
1375 È per la conversione del pane e del vino nel suo Corpo e nel suo Sangue che Cristo diviene presente in questo sacramento. I Padri della Chiesa hanno sempre espresso con fermezza la fede della Chiesa nell’efficacia della parola di Cristo e dell’azione dello Spirito Santo per operare questa conversione. San Giovanni Crisostomo, ad esempio, afferma:
« Non è l’uomo che fa diventare le cose offerte Corpo e Sangue di Cristo, ma è Cristo stesso, che è stato crocifisso per noi. Il sacerdote, figura di Cristo, pronunzia quelle parole, ma la virtù e la grazia sono di Dio. Questo è il mio Corpo, dice. Questa parola trasforma le cose offerte ». [San Giovanni Crisostomo, De proditione Iudae homilia, 1, 6: PG 49, 380.]
E sant’Ambrogio, parlando della conversione eucaristica, dice:
Dobbiamo essere convinti che « non si tratta dell’elemento formato dalla natura, ma della sostanza prodotta dalla formula della consacrazione, ed è maggiore l’efficacia della consacrazione di quella della natura, perché, per l’effetto della consacrazione, la stessa natura viene trasformata ». [Sant'Ambrogio, De mysteriis, 9, 50: CSEL 73, 110 (PL 16, 405).] « La parola di Cristo, che poté creare dal nulla ciò che non esisteva, non può trasformare in una sostanza diversa ciò che esiste? Non è minore impresa dare una nuova natura alle cose che trasformarla ». [Ibid., 9, 52: CSEL 73, 112 (PL 16, 407).]
1376 Il Concilio di Trento riassume la fede cattolica dichiarando: « Poiché il Cristo, nostro Redentore, ha detto che ciò che offriva sotto la specie del pane era veramente il suo Corpo, nella Chiesa di Dio vi fu sempre la convinzione, e questo santo Concilio lo dichiara ora di nuovo, che con la consacrazione del pane e del vino si opera la conversione di tutta la sostanza del pane nella sostanza del Corpo del Cristo, nostro Signore, e di tutta la sostanza del vino nella sostanza del suo Sangue. Questa conversione, quindi, in modo conveniente e appropriato è chiamata dalla santa Chiesa cattolica transustanziazione ». [Concilio di Trento, Sess. 13a, Decretum de ss. Eucharistia, c. 4: DS 1642.]
1377 La presenza eucaristica di Cristo ha inizio al momento della consacrazione e continua finché sussistono le specie eucaristiche. Cristo è tutto e integro presente in ciascuna specie e in ciascuna sua parte; perciò la frazione del pane non divide Cristo. [Cf Concilio di Trento, Sess. 13a, Decretum de ss. Eucharistia, c. 3: DS 1641.]
1378 Il culto dell’Eucaristia. Nella liturgia della Messa esprimiamo la nostra fede nella presenza reale di Cristo sotto le specie del pane e del vino, tra l’altro, con la genuflessione, o con un profondo inchino in segno di adorazione verso il Signore. «La Chiesacattolica professa questo culto latreutico al sacramento eucaristico non solo durantela Messa, ma anche fuori della sua celebrazione, conservando con la massima diligenza le ostie consacrate, presentandole alla solenne venerazione dei fedeli cristiani, portandole in processione con gaudio della folla cristiana ». [Paolo VI, Lett. enc. Mysterium fidei: AAS 57 (1965) 769.]
1379 La santa riserva (tabernacolo) era inizialmente destinata a custodire in modo degno l’Eucaristia perché potesse essere portata agli infermi e agli assenti, al di fuori della Messa. Approfondendo la fede nella presenza reale di Cristo nell’Eucaristia, la Chiesaha preso coscienza del significato dell’adorazione silenziosa del Signore presente sotto le specie eucaristiche. Perciò il tabernacolo deve essere situato in un luogo particolarmente degno della chiesa, e deve essere costruito in modo da evidenziare e manifestare la verità della presenza reale di Cristo nel Santissimo Sacramento.
1380 È oltremodo conveniente che Cristo abbia voluto rimanere presente alla sua Chiesa in questa forma davvero unica. Poiché stava per lasciare i suoi nel suo aspetto visibile, ha voluto donarci la sua presenza sacramentale; poiché stava per offrirsi sulla croce per la nostra salvezza, ha voluto che noi avessimo il memoriale dell’amore con il quale ci ha amati « sino alla fine » (Gv 13,1), fino al dono della propria vita. Nella sua presenza eucaristica, infatti, egli rimane misteriosamente in mezzo a noi come colui che ci ha amati e che ha dato se stesso per noi, [Cf Gal 2,20.] e vi rimane sotto i segni che esprimono e comunicano questo amore:
« La Chiesa e il mondo hanno grande bisogno del culto eucaristico. Gesù ci aspetta in questo sacramento dell’amore. Non risparmiamo il nostro tempo per andare ad incontrarlo nell’adorazione, nella contemplazione piena di fede e pronta a riparare le grandi colpe e i delitti del mondo. Non cessi mai la nostra adorazione ».
[Giovanni Paolo II, Epist. Dominicae Cenae, 3: AAS 72 (1980) 119.]
Il comportamento della comunità credente – che ovviamente ne rispecchia anche l’atteggiamento interiore – suggerito dal Messale (tra l’altro riguarda proprio uno dei richiami della lettera di Arinze) mi sembra perfettamente consono al significato GRANDE di quel che si sta facendo: l’accostarsi, per riceverlo, al Signore in corpo, sangue, anima e divinità…
Vogliamo renderci conto della banalizzazione o, peggio, della profanazione implicita conseguente alla prassi neocatecumenale? E che dire della prassi di non curarsi dei frammenti del pane consacrato, degli insegnamenti che irridono – ora ufficialmente non più – la pratica dell’Adorazione eucaristica nonché dei loro Tabernacoli ‘vestiti‘ di nero [vedi]?
Meditiamo su Ef 4,11-14: “È lui che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri, per rendere idonei i fratelli a compiere il ministero, al fine di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo. Questo affinché non siamo più come fanciulli sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l’inganno degli uomini, con quella loro astuzia che tende a trarre nell’errore.”
***
Al testo del precedente statuto stilato precedentemente all’anno 2002 è succeduto un nuovo testo, più approfondito e frutto di nuove ispirazioni e riflessioni, che il giorno 11 maggio 2008 sostituì previa sua approvazione da parte delle Autorità Vaticane, il PONTIFICIUM CONSILIUM PRO LAICIS, il precedente; è ancora attuale ed è conservato negli Archivi del Dicastero Vaticano; si riportano alcuni interessanti commenti e approfondimenti consultabili in archivi di accesso pubblico,in particolar modo l’articolo numero 13 riguardante l’Eucaristia, ovvero la Celebrazione della Messa.
ROMA, 23 giugno 2008 – Il Cammino Neocatecumenale ha un nuovo e definitivo statuto.
È stato approvato dalle autorità vaticane lo scorso 11 maggio, festa di Pentecoste, ed è stato ufficialmente consegnato dieci giorni fa dal cardinale Stanislaw Rylko, presidente del pontificio consiglio per i laici, all’équipe responsabile internazionale del Cammino, composta da Francisco José (Kiko) Gómez Argüello, Carmen Hernández e don Mario Pezzi.
Il precedente statuto, datato 29 giugno 2002, era sperimentale e aveva una validità di cinque anni. Era quindi scaduto da quasi un anno quando il nuovo è stato approvato.
Il motivo di questo ritardo lo si intuisce confrontando i due testi. Soprattutto all’articolo 13, dove le variazioni sono più evidenti.
L’articolo 13 riguarda la celebrazione della messa. Che per i neocatecumenali è sempre stata la causa di più forte contrasto con l’insieme della Chiesa cattolica.
Anzitutto per i tempi e i luoghi delle celebrazioni.
I neocatecumenali usano celebrare le loro messe non la domenica ma il sabato sera, in piccoli gruppi, separati dall’insieme della comunità parrocchiale. E poiché ciascun gruppo neocatecumenale corrisponde a un particolare stadio del Cammino, ciascun gruppo ha la sua messa, in locali diversi.
Poi per le modalità della celebrazione.
I neocatecumenali usano celebrare la messa in forma di convito, attorno a una grande mensa quadrata, facendo la comunione seduti. Inoltre, in aggiunta all’omelia, danno largo spazio ai commenti spontanei dei presenti.
Così, almeno, facevano fino a poco tempo fa.
E in parte continuano a fare.
Il 1 dicembre 2005 il cardinale Francis Arinze, prefetto della congregazione per il culto divino, li richiamò per lettera, a nome del papa, a un’osservanza fedele delle regole liturgiche. E il successivo 12 gennaio Benedetto XVI in persona li esortò ad ubbidire.
Ma di fatto questo doppio richiamo cadde quasi ovunque nel vuoto.
Il 22 febbraio2007, inun’udienza al clero di Roma, Benedetto XVI fece loro capire che i nuovi statuti non sarebbero stati approvati, se non avessero obbedito ai richiami.
E alla fine le pressioni hanno avuto effetto.
Il nuovo statuto approvato lo scorso 11 maggio obbliga i neocatecumenali a celebrare la messa seguendo le regole liturgiche generali del rito romano.
La comunione dovranno riceverla in piedi.
L’omelia non potrà più essere sostituita da una pluralità di interventi.
Le loro messe del sabato sera saranno “parte della pastorale liturgica domenicale della parrocchia” e saranno “aperte anche ad altri fedeli“.
Uniche concessioni:
la comunione potranno riceverla “restando al proprio posto” e il segno della pace potranno scambiarlo prima dell’offertorio invece che prima della comunione.
Ma va notato che quest’ultima collocazione c’è già nel rito ambrosiano in uso nell’arcidiocesi di Milano.
E in un prossimo futuro potrebbe entrare in uso anche nel rito romano, stando a ciò che ha fatto presagire lo stesso Benedetto XVI nell’esortazione postsinodale sull’Eucaristia “Sacramentum Caritatis“.
A norma del nuovo statuto, tutte le comunità neocatecumenali del mondo dovrebbero attenersi già oggi alle nuove regole, nel celebrare la messa.
Il Cammino Neocatecumenale, nato in Spagna nel 1964, dichiara di essere presente in 107 paesi dei cinque continenti, con 19 mila comunità in 5.700 parrocchie di 1.200 diocesi. Nell’insieme, i suoi membri sono circa mezzo milione. Ha 60 seminari “Redemptoris Mater” in tutto il mondo. In Italia è attivo del 1968 e conta 4.500 comunità in 200 diocesi, con circa 100 mila membri.
Dopo il nuovo statuto, dovrebbero presto essere pubblicati anche gli “Orientamenti alle équipes dei catechisti”, cioè i testi-guida dei fondatori Kiko e Carmen. Lungamente esaminati dalle autorità vaticane, usciranno in edizione corretta.
Ecco qui seguito il vecchio e il nuovo statuto a confronto, nell’articolo – con le relative note – che riguarda la celebrazione dell’Eucaristia:
L’Eucaristia nel vecchio statuto del 2002…
ART. 13
§ 1. L’Eucaristia è essenziale al Neocatecumenato, in quanto catecumenato postbattesimale, vissuto in piccola comunità (46). L’Eucaristia infatti completa l’iniziazione cristiana (47).
§ 2. I neocatecumeni celebrano l’Eucaristia nella piccola comunità per essere iniziati gradualmente alla piena, consapevole e attiva partecipazione ai divini misteri (48), anche secondo l’esempio di Cristo, che nella moltiplicazione dei pani fece sedere gli uomini “in gruppi di cinquanta” (Lc 9,14). Tale consuetudine, consolidata nella prassi ultra trentennale del Cammino, è feconda di frutti (49).
§ 3. Inconsiderazione anche “di specifiche esigenze formative e pastorali, tenendo conto del bene di singoli o di gruppi, e specialmente dei frutti che possono derivarne all’intera comunità cristiana” (50), la piccola comunità neocatecumenale (51), con l’autorizzazione del Vescovo diocesano, celebra l’Eucaristia domenicale (52), aperta anche ad altri fedeli, dopo i primi vespri.
§ 4. Ogni celebrazione dell’Eucaristia è preparata, quando possibile sotto la guida del Presbitero, da un gruppo della comunità neocatecumenale, a turno, che prepara brevi monizioni alle letture, sceglie i canti, provvede il pane, il vino, i fiori, e cura il decoro e la dignità dei segni liturgici.
NOTE
(46) Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Epist. Ogniqualvolta, 30 agosto 1990: AAS 82 (1990) 1515: “Sono l’annuncio del Vangelo, la testimonianza in piccole comunità e la celebrazione eucaristica in gruppi (cfr. Notificazione sulle celebrazioni nei gruppi del Cammino Neocatecumenale in L’Oss. Rom., 24 dicembre 1988) che permettono ai membri di porsi al servizio del rinnovamento della Chiesa”; IDEM, Discorso a 350 catechisti itineranti del Cammino Neocatecumenale, in L’Oss. Rom., 18 gennaio 1994: “Tutto ciò viene attuato in piccole comunità, nelle quali ‘la riflessione sulla parola di Dio e la partecipazione all’Eucaristia… formano cellule vive della Chiesa, rinnovano la vitalità della Parrocchia mediante cristiani maturi capaci di testimoniare la verità con una fede radicalmente vissuta’ (Messaggio ai Vescovi d’Europa riuniti a Vienna, 12 aprile 1993)”.
(47) Cfr. OICA [Ordo Initiationis Christianae Adultorum], 36, 368.
(48) Cfr. CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Cost. Sacrosanctum Concilium, 48; CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Direttorio generale perla Catechesi, 85; S. LEONE MAGNO, Sermo 12, De passione: “La nostra partecipazione al corpo e al sangue di Cristo non tende ad altro che a trasformarci in quello che riceviamo, a farci rivestire in tutto, nel corpo e nello spirito, di colui nel quale siamo morti, siamo stati sepolti e siamo risuscitati”.
(49) In questo modo si viene incontro alle esigenze dell’uomo contemporaneo: si valorizza la domenica, evitando la dispersione propria del week end, si strappano i giovani dalle discoteche del sabato sera e dalla droga, si dà alla famiglia la possibilità di essere unita di domenica in una liturgia domestica – momento privilegiato nella trasmissione della fede ai figli – e si permette ai fratelli più formati di aiutare ad animare le messe domenicali parrocchiali; ma soprattutto l’intensità della partecipazione della piccola comunità alla sacra Eucaristia stimola e sorregge il cambiamento morale e il sorgere di molteplici vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa e missionaria.
(50) GIOVANNI PAOLO II, Lett. apost. Dies Domini, 36; cfr. SACRA CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO, Instr. Actio Pastoralis de Missis pro coetibus particularibus: “Si esortano vivamente i pastori d’anime a voler considerare e approfondire il valore spirituale e formativo di queste celebrazioni”.
(51) Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Discorso a 350 catechisti itineranti del Cammino Neocatecumenale, in L’Oss. Rom., 18 gennaio 1994: “La vostra ormai pluriennale esperienza nel Cammino vi avrà certo insegnato che la piccola comunità, sostenuta dalla Parola di Dio e dall’Eucaristia domenicale, diventa luogo di comunione“.
(52) Cfr. Notificazione della Congregazione per il Culto Divino sulle celebrazioni nei gruppi del Cammino Neocatecumenale, in L’Oss. Rom., 24 dicembre 1988: “La congregazione consente che tra gli adattamenti previsti dall’istruzione Actio pastoralis, nn. 6-11, i gruppi del menzionato Cammino possano ricevere la comunione sotto le due specie, sempre con pane azzimo, e spostare, ‘ad experimentum’, il rito della pace dopo la preghiera universale“. Seguendo quanto indicato nella Istruzione Ecclesia de mysterio (art. 3, § 3), per preparare l’assemblea a meglio accogliere l’omelia, il presbitero, con prudenza, può dare la possibilità a qualcuno tra i presenti di esprimere brevemente ciò chela Parola proclamata ha detto alla sua vita.
… e nel nuovo statuto del 2008
ART. 13
§ 1. L’Eucaristia è essenziale al Neocatecumenato, in quanto catecumenato post-battesimale, vissuto in piccola comunità (47). L’Eucaristia infatti completa l’iniziazione cristiana (48).
§ 2. I neocatecumeni celebrano l’Eucaristia domenicale nella piccola comunità, dopo i primi vespri della Domenica. Tale celebrazione ha luogo secondo le disposizioni del Vescovo diocesano. Le celebrazioni dell’Eucaristia delle comunità neocatecumenali al sabato sera fanno parte della pastorale liturgica domenicale della parrocchia e sono aperte anche ad altri fedeli.
§ 3. Nella celebrazione dell’Eucaristia nelle piccole comunità si seguono i libri liturgici approvati dal Rito Romano, fatta eccezione per le concessioni esplicite della Santa Sede (49). Per quanto concerne la distribuzione della Santa Comunione sotto le due specie, i neocatecumeni la ricevono in piedi, restando al proprio posto.
§ 4. La celebrazione dell’Eucaristia nella piccola comunità è preparata sotto la guida del Presbitero, da un gruppo della comunità neocatecumenale, a turno, che prepara brevi monizioni alle letture, sceglie i canti, provvede il pane, il vino, i fiori, e cura il decoro e la dignità dei segni liturgici.
NOTE
(47) Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Epist. Ogniqualvolta, 30 agosto 1990: AAS 82 (1990) 1515: “Sono l’annuncio del Vangelo, la testimonianza in piccole comunità e la celebrazione eucaristica in gruppi (cfr. Notificazione sulle celebrazioni nei gruppi del Cammino Neocatecumenale in L’Oss. Rom., 24 dicembre 1988) che permettono ai membri di porsi al servizio del rinnovamento della Chiesa”; IDEM, Discorso a 350 catechisti itineranti del Cammino Neocatecumenale, in L’Oss. Rom., 18 gennaio 1994: “Tutto ciò viene attuato in piccole comunità, nelle quali ‘la riflessione sulla parola di Dio e la partecipazione all’Eucaristia… formano cellule vive della Chiesa, rinnovano la vitalità della Parrocchia mediante cristiani maturi capaci di testimoniare la verità con una fede radicalmente vissuta’ (Messaggio ai Vescovi d’Europa riuniti a Vienna, 12 aprile 1993)”.
(48) Cfr. OICA [Ordo Initiationis Christianae Adultorum], 36, 368.
(49) Cfr. Benedetto XVI, Discorso alle Comunità del Cammino Neocatecumenale del 12 gennaio 2006: Notitiae 41 (2005) 554-556; Congregazione per il Culto Divino, Lettera del 1 dicembre 2005: Notitiae 41 (2005) 563-565; Notificazione della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplinadei Sacramenti sulle celebrazioni nei gruppi del Cammino Neocatecumenale, in L’Osservatore Romano, 24 dicembre 1988: “La congregazione consente che tra gli adattamenti previsti dall’istruzione Actio pastoralis, nn. 6-11, i gruppi del menzionato Cammino possano ricevere la comunione sotto le due specie, sempre con pane azzimo, e spostare, ‘ad experimentum’, il rito della pace dopo la Preghiera universale“.
*
Sarà ora argomento di riflessione e di proposta la modalità di partecipazione alle celebrazione eucaristica neocatecumenale.
Gli incontri programmati dalla Comunità sono stabiliti essenzialmente per svolgersi nel martedì e nel sabato, nonché in una domenica ogni mese, con carattere più esteso, coordinato con molte comunità esistenti nella realtà provinciale e regionale. A noi nuovi partecipanti tal incontri sono accaduti sino a oggi, tranne Martedì 6 dicembre in cui non vi fu nessun incontro a San Giuseppe al Trionfale e in attesa liturgia della Parola, venerdì 9 dicembre via Armando di Tullio Grazia preparazione liturgia della Parola “Roccia”,Sabato 10 dicembre San Giuseppe al Trionfale con la liturgia eucaristica, Martedì 13 dicembre San Giuseppe al Trionfale per la liturgia della Parola “Roccia”;Sabato 17 dicembre San Giuseppe al Trionfale con la liturgia eucaristica, e Martedì 20 dicembre San Giuseppe al Trionfale per la liturgia della Parola”Pane”;
Fu successivamente indicato, poco prima del periodo in cui ricorrono i festeggiamenti per la natività di Nostro Signore,  di riflettere, approfondire, studiare e preparare la celebrazione stabilita per il giorno martedì tre gennaio 2023, della parola “Agnello“, a cui Grazia, Lourdes e Giancarlo si dedicarono con entusiasmo, incontrandosi anticipatamente, sabato 31 dicembre presso la abitazione di Grazia e successivamente in momenti di personale riflessione quotidiana. Si rese evidente durante le letture e studi effettuati con l’ausilio di alcuni testi guida quali il Dizionario di Teologia Biblica  pubblicato sotto la direzione di XAVIER LEON-DUFOUR e di Jean Duplacy, Augustin George Pierre Grelot, Jacques Guillet Marc-Francois Lacan il cui titolo in lingua originale è:  VOCABULAIRE  DE  THEOLOGIE  BIBLIQUE  (Les Editions du Cerf) in Edizione italiana completamente rifusa sulla II edizione francese riveduta e ampliata, a cura di Giovanni Viola e Ambretta Milanoli 1 in quinta edizione riveduta e corretta nell’anno 1976, nonché il Dizionario dei Simboli Cristiani, Autore: Edouard Urech, anno: 1972, editore: Labor et Fides S.A. 1, rue Beauregard – 1024 Genève (CH). La preparazione comprese anche la scelta di alcune letture, tre e di un brano del Vangelo precedute durante la da una breve così detta “AMMONIZIONE AMBIENTALE”, seguita dal Canto di ingresso, una successiva “AMMONIZIONE” alla PRIMA LETTURA scelta ovvero dal Pentateuco del V.T. Genesi (22, 7), seguita da un successivo Canto. Svolta la prima fase si espose la così detta “AMMONIZIONE” alla SECONDA LETTURA ovvero dai  Libri Sapienza e Profeti, Geremia (11, 19) seguita anch’essa da un Canto. La “AMMONIZIONE” alla  TERZA LETTURA tratta dal Nuovo Testamento,  ovvero Pietro (1,17) e il successivo terza Canto a cui seguì la “AMMONIZIONE AL VANGELO” e la Lettura del Vangelo di Giovanni (1,29) operata dal Sacerdote, concluse la celebrazione della parola a cui sono seguite come di prassi per la celebrazione del martedì le così dette “RISONANZE” ossia alcuni commenti liberamente espressi dai partecipanti alla Celebrazione e conclusa dalla “OMELIA” del Sacerdote, e le finali “PREGHIERE” spontanee dell’assemblea che si sciolse dopo la recita del “Padre Nostro”, la “Benedizione”, e il “Canto Finale”. La Celebrazione della Parola ha permesso di avere chiaro con processo guidato principalmente dal “Cuore” nella sua accezione biblica, una prima chiarificazione riguardo il sacrificio e l’agnello testimoniato dalle parole dell’Antico e del Nuovo Testamento.
Negli Antichi Testi Precristiani l’Agnello è , con un anno di vita e senza difetto, l’olocausto offerto dall’essere vivente, dal popolo di Israele, a Dio qual offerta per la “remissione dei peccati e tutte le azioni singole e condivise nel mancato rispetto del Signore, nella Sua Esistenza, Volontà, Legge.
Nel nuovo Testamento l’Agnello è il Figlio del Signore, del Dio Trinitario, offerto dal Padre Stesso, volontà a cui il Figlio, Agnello Mansueto, che Risorge Leone, per il Perdono di tutti gli esseri viventi che credono fermamente in Lui e si pentono amando il Signore nel prossimo, in Chi Incontrano quotidianamente con perseveranza.
*
La Celebrazione della Parola è un programma educativo che si sviluppa nel tempo del “percorso” per suscitare interesse e acquisire maggior consapevolezza al riguardo dei “TEMI BIBLICI” durante il così detto “periodo del pre cacumenato” che si sviluppa ordinariamente nell’arco di tempo di alcuni anni.
Solitamente lo studio prevede lo sviluppo di un tema propedeutico alla preparazione della Celebrazione della Parola del martedì e conseguentemente nell’arco di un anno si potranno approfondire circa cinquanta “Temi Biblici“.
I “Temi Biblici” facenti parte del programma educativo sono proposti nel numero di centoquarantotto (148), numero di cui al momento non è noto un eventuale riferimento numerico simbolico o conoscitivo. Sono descritti con un rigoroso elenco che ha probabilmente una logica concreta, di cui a oggi non si conosce la natura.
I temi elencati con la cronologia e sequenzialità come di seguito trascritti perdurerà (perdurrà) circa tre anni, ovvero orientativamente sino a tutto l’anno duemilaventicinque, e sono così ordinati:
1) Roccia
2) Pane
3) Agnello di Dio
4) Amen
5) Elezione
6) Pace
7) Vite, Vigna
8) Luce
9) Porta
10) Vino
11) Regno
12) Parola
13) Sposo
14) Terra
15) Alleanza
16) Deserto
17) Albero
18) Acqua
19) Croce
20) Vittoria
21) Idoli
22) Notte
23) Legge
24) Immagine
25) Servire
26) Speranza
27) Tempio
28) Via, Cammino
29) Amore
30) Nazioni
31) Carne
32) Casa
33) Chiesa
34) Corpo
35) Dio
36) Sapienza
37) Potenza
38) Donna
39) Esilio
40) Nome
41) Eucarestia
42) Fede
43) Gesù
44) Vita
45) Giorno del Signore
46) Guerra
47) Israele
48) Pastore
49) Lode
50) Gloria
51) Madre
52) Mare
53) Fuoco
54) Messia
55) Seminare, Messe
56) Missione
57) Mondo
58) Poveri di Jahve
59) Morte
60) Pasqua
61) Peccato
62) Vegliare
63) Resto
64) Risurrezione
65) Dono
66) Ricchezza
67) Spirito di Dio
68) Trasfigurazione
69) Vangelo
70) Volto, Faccia
71) Carismi
72) Ascoltare
73) Eredità
74) Banchetto Messianico
75) Verità
76) Padre
77) Unione
78) Cristo
79) Gioia
80) Confessione, Martire
81) Potenza
82) Bambino
83) Benedizione
84) Pietra
85) Uomo
86) Braccio, Destra
87) Farisei
88) Amico
89) Cielo
90) Obbedienza
91) Grazia
92) Inferi
93) Lingua, Labbra
94) Prossimo
95) Conoscere
96) Ginocchio
97) Festa
98) Discepolo
99) Ora
100) Volontà di Dio
101) Riposo
102) Temere, Timore
103) Libro
104) Monte
105) Patria
106) Mistero
107) Digiuno
108) Figlio
109) Forza
110) Vocazione
111) Indurimento
112) Mitezza
113) Pasto
114) Prova
115) Libertà
116) Sangue
117) Testimonianza
118) Umiltà
119) Sabato
120) Schiavo
121) Errore
122) Santo
123) Empio
124) Solitudine
125) Digiuno
126) Sonno
127) Unzione
128) Veste
129) Straniero
130) Scandalo
131) Giudizio
132) Nemico
133) Ira
134) Lebbra
135) Presenza
136) Fame
137) Esodo
138) Desiderio
139) Creazione
140) Cuore
141) Fratello
142) Salvezza
143) Frutto
144) Sacrificio
145) Rivelazione
146) Cercare
147) Circoncisione
148) Riconciliazione.
* La celebrazione eucaristica del 7 gennaio 2023 accadde, si svolse,  senza la presenza di Padre Cristian che fu in tale frangente sostituito da Don Carmelo. La liturgia scorse serenamente in tutte le sue fasi e giungendo poi al commiato  la benedizione si prese atto che la modalità di preparazione della celebrazione della Parola avrebbe avuto degli adattamenti alla tangibile situazione dei partecipanti.
  si sarebbero alternati periodi di maggior durata tra un incontro e il successivo dedito alla liturgia della parola vero e proprio programmando alternatamente tra un martedì e  il successivo uno dei due dedito alla semplice preparazione della parola scelta e il successivo alla sua celebrazione per avere maggior tempo disponibile da dedicare alla riflessione, allo studio, e agli incontri di confronto da condividere. Fu quindi stabilito per il giorno martedì 10 gennaio 2023 un incontro da svolgersi e a cui partecipare presso la sede di San Giuseppe di preparazione alla liturgia della parola prevista per il 17 gennaio 2023 ossia la parola AMEN, la quarta dell’elenco del programma di preparazione e studio generale. A tale preparazione furono invitati Luigia, Giancarlo, Silvia e Paola. Amen ha origine etimologica dall’ebraico āmēn «così è, in verità». E’ la Parola del latino ecclesiastico, che, con il significato di «così sia», chiude molte preghiere cristiane in lingua latina, talora anche quelle in lingua italiana, o è pronunciata dall’assemblea nella messa e in altri riti liturgici come risposta e assenso a preghiere e invocazioni del celebrante. È d’uso comune nella frase in men che non si dica amen (anche con valore di sostantivo maschile, in un amen), in un momento, in un attimo (cfr. Dante: Un amen non sarìa possuto dirsi Tosto così com’e’ fuoro spariti); o come esclamativa conclusiva: allora amennon se ne parli più!, cioè: va bene, sia pure, e similmente; meno comune, essere all’amen, ovvero essere alla fine. (dal Vocabolario della Lingua Italiana Treccani)
La Parola ebraica (’āmēn), con significato «così sia» (I Re 1, 36; Ger. 11, 5), «in verità» (Ger. 28, 6). è nella liturgia della sinagoga usata nei canti di lode a Dio (Neem. 8, 6) o alla fine di una dossologia o di una preghiera (I Cron. 16, 36).
Nel Nuovo Testamento è un’acclamazione della liturgia cristiana (I Cor. 14, 16) e celeste (Apoc. 5, 14): di solito alla fine di preghiera o di dossologia (Rom. 1, 25; 9, 25; Ebr. 13, 21; I Pietro 4, 11) come supplica affinché le promesse fatte da Dio siano adempiute.
Nella Messa, come anche negli altri riti liturgici, l’amen esprime l’assenso dell’assemblea alla preghiera del sacerdote, soprattutto alle dossologie.
Giuseppe Ricciotti nella Enciclopedia Italiana (1929) definisce AMEN Parola ebraica (‘āmēn), passata anche in altre lingue semitiche (siriaco, etiopico, ecc.), nelle versioni greche e latine del Vecchio Testamento e nei varî testi del Nuovo.
Deriva dalla radice semitica ‘mn col senso “sostenere, esser saldo”, quindi “esser sicuro, certo, veritiero”, ecc. Nella Bibbia è usato per lo più avverbialmente, sia per confermare ciò che altri ha detto (“sicuro! certo!”), sia per dare enfasi alla propria asserzione (“in verità! con sicurezza!”); qualche volta ha pure un significato ottativo, esprimendo il desiderio che avvenga ciò che si è detto. Quest’ultima accezione ha largamente diffuso l’impiego della parola nella liturgia giudaica sinagogale e in quelle cristiane, orientali, greche e latine, specialmente come conferma ottativa finale “così sia!”. Sotto la forma araba āmīn il vocabolo è penetrato anche nell’uso liturgico musulmano Dai Settanta fu tradotto per lo più γένοιτο, e nelle versioni latine derivate da questa (come nei Salmifiat, “avvenga”. Nel Nuovo Testamento si trova spesso amen (ἀμήη): ripetuto, con valore superlativo, nel IV Vangelo. Nei discorsi di Gesù, riferiti dai Vangeli, la frase ‘Αμὴν λέγω σοι (o ὑμῖν) si traduce meglio: “In verità ti (o: vi) dico”. Nell’Apocalisse (III, 14) amen diventa nome, ed è usato metaforicamente (ὁ ‘Αμήν, “la verità” o “il veridico”) per Gesù stesso.
Amen assunse il valore di acclamazione, come Alleluia. S. Paolo (I Corinzî, XIV, 16; cfr. II Cor., I, 20) ci è lui stesso testimone dell’abitudine di rispondere amen alle preghiere. Nella liturgia antica lo si trova dopo la consacrazione, dopo la comunione, e dopo dossologie o altre preghiere liturgiche; fu usato, come formula conclusiva, in fine ai simboli di fede (e si può tradurre, come vuole S. Agostino, verum est), penetrò nelle formule funerarie e negli amuleti, tanto che si trova in numerose iscrizioni e papiri. Talvolta è seguito dalle lettere greche kappa thēta il cui valore numerico, 99, corrisponde alla somma di quelli rappresentati dalle lettere α (1), μ (40), η (8), γ (50). Il fedele durante la propria orazione e congiuntamerte nella preghiera comunitaria con AMEN declama fermamente e inequivocabilmente la propria fede sottolineando i l proprio credere nell’oggetto dell’orazione, assumendosi la responsabilità di conclamare pubblicamente affermando che ciò che declama è vero. ”Dire Amen, significa proclamare che si ritiene vero ciò che è stato detto, al fine di ratificare una proposta o di unirsi ad una preghiera. (C. THOMAS; dal Dizionario di Teologia Biblica pubblicato sotto la direzione di
Xavier Leon-Dufour; 1976).
E’ molto coinvolgente quanto afferma San Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi riguardo la Parola Amen in relazione ai Doni dello Spirito ovvero il “Dono delle Lingue” e il Dono della Profezia”. San APolo con grande chiarezza afferma che Chi infatti parla con il dono delle lingue non parla agli uomini ma a Dio poiché, mentre dice per ispirazione cose misteriose, nessuno comprende. Chi profetizza, invece, parla agli uomini per loro edificazione, esortazione e conforto. da ciò conclude San Paolo che: 
Chi parla con il dono delle lingue edifica se stesso, chi profetizza edifica l’assemblea e da ciò deduce che quando si parla alla Assemblea, in particolar modo  a chi non ha piena fede è bene “parlare con la profezia. “Altrimenti, se tu dai lode a Dio soltanto con lo spirito, in che modo colui che sta fra i non iniziati potrebbe dire l’Amen al tuo ringraziamento, dal momento che non capisce quello che dici?
Sabato 14 gennaio 2023 l’Eucarestia presso la Parrocchia di San Giuseppe al Trionfale è stata preparata con la viva partecipazione di Grazia, Caterina e Tatiana, e si è svolta alle ore 20.00. come di consueto. Al riguardo della modalità liturgica operata dai neo catecumeni per la Eucarestia del Sabato “in tentata e ispirata assonanza” con le celebrazioni delle radici cristiane del primo periodo successivo alla Crocifissione di Cristo, si notano molte particolarità e dettagli teologico liturgici che le contraddistinguono, dalla Celebrazione Eucaristica di originaria modalità Diocesana.I dettagli della funzione successivamente ad alcune revisioni avvenute nei tempi passati, ovvero sino al 2008, possiedono e sono  oggetto di particolarità, dettagli e spunti che potrebbero guidare la predisposizione di un apposito ambito spaziale liturgico che ora si andrà a descrivere con parole e immagini.
Le parole, le preghiere, i gesti rituali del Celebrante e le propedeutiche comunicazioni degli Educatori neo catecumeni, pongono in chiara centrale evidenza, la ricerca di un metodo che inequivocabilmente permetta di percorrere la strada antecedente anticamente,e in origine, all’attuale Celebrazione del Sacramento del Battesimo e vivere questo anche oggi in modo partecipato e con consapevolezza, ripetendo anche gestualità, usi, riti e modalità attualmente dimenticati, partecipando e ricevendo il Sacramento con la consapevolezza del ricevimento del Dono dello Spirito Santo, del “dono della lingua”, del divenire Figli di Dio Padre e parte celò Corpo vivente della Chiesa, che ha dalla nascita, crescita, morte resurrezione e Ascensione al Cielo SQUARCIATO il velo del Tempio di Israele incredulo, le celle dei templi olimpici e precristiani, le costrizioni e credenze delle religiosità istintive, la consapevolezza della educazione forviante agli idoli del mondo, mezzo di illusione programmata per la distruzione della Vera Libertà dell’essere vivente a cui Dio Padre dona tutto, iniziando dalla Vita, senza nulla chiedere e senza dipendenza alcuna. La chiara visione che traspare dalla proposta dei neo catecumeni. I pensieri e le azioni presenti durante la Celebrazione della Parola del martedì pomeriggio e la Celebrazione Eucaristica del Sabato sere hanno dato origine al desiderio di disegnare un bozzetto che descrive un luogo per tali celebrazioni che con i suoi elementi compositivi e costruttivi renda visibile quanto accade e accadde, quando con il Battesimo, il Sacramento del Battesimo alle sue origini rituali, e con la VALENZA ETERNA DA ALLORA conosciuta e resa accessibile all’essere vivente da Cristo, per Volontà del Padre e per mezzo dello Spirito Santo.
Celebrato inizialmente nei primi templi o luoghi di culto edificati dall’essere vivente stesso prima di conoscere Cristo, i fedeli ne hanno trasformato nell’uso la loro valenza e natura e ne hanno aperto le mura che li chiudevano alla Realtà del Creato imprigionando in tal modo in loro la conoscenza del Creato Stesso, Dono di Nostro Signore, a noi viventi.
Alcune prime immagini dei bozzetti di studio che descrivono il luogo ove si potrebbe svolgere in armonia e assonanza la Celebrazione Eucaristica partecipata nelle occasioni prima descritte prima figura 
seconda figura 
terza figuraquarta figuraquinta figura 
sesta figura 
settima figura
ottava figura
nona figura
decima figura
Martedì 17 gennaio si è svolta la celebrazione della Parola AMEN organizzata da Luigia, Giancarlo, Silvia e Paola e successivamente sabato 21 gennaio si è Celebrata l’Eucarestia con la viva partecipazione di Lourdes, Ambra e Alessio. Martedì 24 gennaio si ipotizza di preparare la Celebrazione della Parola  ELEZIONE a cura di Vittoria, Giancarlo, Victoria ed Enzo per la Celebrazione del il 31 gennaio 2023, che potrebbe essere preceduta dalla Celebrazione Eucaristica del 28 gennaio organizzata da Grazia, Luigia, Virginia e Paola.
Alcuni nuovi incontri di catechesi stabiliti per i prossimi giorni potrebbero modificare il programma e arricchire il desiderio conoscitivo e di partecipazione con maggiore consapevolezza del percorso Neo Catecumenale.
e restiamo in attesa.
Oggi 11 maggio 2023 si è ripresa la narrazione in forma di semplice diario dell’accaduto interrotta il 24 gennaio durante il breve periodo di pausa e nel successivo ovvero nell’arco di tempo che scorse dalla seconda metà del mese di gennaio sino a oggi, In questo periodo come i Catechisti di riferimento della Comunità ritennero opportuno, si proseguì effettivamente il percorso educativo con un nuovo ciclo catechetico organizzato in due incontri per settimana per un periodo che al momento dell’accaduto era da stabilire, interrompendo le attività celebrative previste e in essere per la Comunità stessa.
Vi furono quindi una serie di incontri in cui i catechisti ripresero i temi precedentemente trattati e le argomentazioni, precedentemente illustrate,a essi riferibili, sino al momento conclusivo di questo nuova serie (ciclo educativo), che si concretizzò con un ritiro spirituale e meditativo di tre giorni che furono il 24, 25 e 26 marzo 2023 in Santa Severa, serena e silenziosa cittadina che sorge in riva al mare a nord di Roma, verso Civitavecchia, quasi disabitata nel periodo invernale e primaverile come si trovò  quando arrivammo la sera di venerdì 24 marzo con un grande quesito nel Cuore adagiato nella nostra Fede, Speranza e Carità, Doni del Signore sempre presenti se alimentati dalla Buona Volontà.
In questa particolare atmosfera e lontananza dalla convulsa cronologia degli “eventi quotidiani del mondo”, si svolsero incontri di sintesi riguardanti gli argomenti trattati nel periodo catechetico trascorso tra gennaio e marzo e alcuni momenti di intima riflessione individuale e successivamente in condivisione e confronto tra i componenti la nascente, “a questo punto, Quarta Comunità Neocatecumenale di San Giuseppe”, che è “luogo e cammino odierno“.
Da allora con inizio dal giorno 28 marzo 2023, alle ore 20.30, iniziarono i nuovi incontri in cui il martedì si è celebrata e si celebra la “Parola” e il sabato la Eucarestia, ognuna con la sua specifica liturgia orientata come il cammino catechetico prevede.
Le particolarità dei tempi e metodo, o anche modi, di svolgimento della liturgia della Parola e della liturgia Eucaristica, hanno innescato un profondo desiderio espressivo e di condivisione oggi reso con fraterno spirito di servizio “disegno” di un impianto liturgico e catechetico che spera di essere possibile immaginario luogo liturgico di armonia tra le varie fasi del Cammino intrapreso e le indicazioni e regole dell’unico rito eucaristico rimano che con il suo duplice uso, come descritto e previsto nel “Summorum Pontificum (in italiano “Dei Sommi Pontefici”) ovvero nella lettera apostolica del Santo Padre Benedetto XVI, pubblicata in forma di “Motu Proprio” il 7 luglio 2007, entrate in vigore il 14 settembre 2007 festa della esaltazione della croce.
Il disegno che ha titolo -La Chiesetta (Cappella) della Pentecoste a Roma in “Proba Petronia”- è stato realizzato nei giorni precedenti la domenica 7 maggio 2023 e nella domenica stessa accompagnato da un breve testo.
L’origine del desiderio di disegnare una piccola chiesa (cappella di culto), nasce dalla speranza di condividere il dono della Fede, nella sua Liturgia, con chi si è già incontrato e chi si incontrerà in un piccolo spazio sacro con le proporzioni costruttive di una “casa”, una “Domus Ecclesiae”.
I materiali da costruzione assunti per la sua edificazione sono di origine semplice e antica, sono parte della storia delle costruzioni del nostro territorio mediterraneo, ovvero l’acqua, la pietra, la calce, la pozzolana, il laterizio, il ferro, il vetro o l’alabastro, il rame, il legno, e materie con queste in armonia.
La forma è la conseguenza, trasformata in segno, del tempo condiviso tra i giorni di venerdì ventiquattro e domenica ventisei, nel mese di marzo di quest’anno, il duemilaventitre, in un sereno e tranquillo luogo di mare ove in una struttura di accoglienza si sono svolti comunemente momenti educativi, di riflessione e meditazione con alcuni amici, con cui si è iniziato a percorrere un nuovo cammino di vita, che completa e alimenta la vita già trascorsa, presente e nella speranza la futura.
Il ritmo compositivo distribuisce la proporzione dell’ordine costruttivo concepito e adottato con una traiettoria che le mani del fedele seguono per congiungersi e pregare rivolti al Signore o rivolte con il palmo aperto verso il cielo per ricevere i Suoi Doni secondo i nostri limiti, fondata dagli elementi perpendicolari tra loro della Croce, che dirigono la composizione intera.
Il numero delle dita delle mani di due fedeli uniti e riuniti per parlare con il Signore in (con la) preghiera liturgica, definisce i partecipanti della comunità e di conseguenza gli ambiti per la loro accoglienza intorno all’altare e all’ambone, posti in due punti focali del luogo sacro raccolti dalle mura che in continuo con il completamento a volta muraria dell’edificio ne ospitano la presenza.
La disposizione “cosmica” o orientamento della Chiesetta coincide con quanto i Padri della Chiesa hanno trasmesso educativamente al Popolo di Cristo Vivente, ovvero la Chiesa stessa, e coerentemente l’abside  e l’altare sono posti nella porzione verso Est chela Chiesetta con un estremo dei due assi della Croce che è stata adottata per la disposizione dell’orditura muraria principale.
Le quattro fondamentali pareti con andamento curvilineo, sia nella loro conformazione planimetrica che nell’elevato, hanno il volume che è assimilabile a un “calco” dell’ordine architettonico che comunemente con le “colonne o ordine”, componeva l’impianto di elevazione degli antichi templi del culto “olimpico” o “ebraico” costruiti originariamente dalle popolazioni mediterranee, di lingua greca, latina ed ebraica, che divennero spontaneamente, dopo la resurrezione di Cristo, luoghi della celebrazione eucaristica cristiana opportunamente adeguati dai fedeli, prima che le basiliche esistenti, nella loro forma nativa, ma con diversa disposizione d’orientamento nel loro uso, da legale commerciale si trasformò in quello di culto, divenissero dopo il 313, con l’editto di Costantino, emanato a Milano, i luoghi liturgici e di culto adottati da tale periodo (sempre) dalle comunità cristiane nelle origini, successivamente alle celebrazioni eucaristiche svoltesi all’inizio della diffusione della Fede Cristiana, nelle case private (Domus Ecclesiae), o nei luoghi sotterranei (catacombe).
Le basiliche furono edifici nati per esigenze commerciali e legali delle,popolazioni mediterranee di lingua greca e latina e previsti con l’ingresso e il loro orientamento principale riferito al lato di maggiori dimensioni del rettangolo o pseudo rettangolo dell’impianto compositivo furono modificate e adeguate alle peculiarità delle valenze simboliche e liturgiche della religione cristiana, ponendo l’ingresso e “Porta” dell’edificio nel lato di minor dimensione posto a Ovest, cosicché i fedeli cristiani da lì entrando,  attraverso la “Porta” che concretizza in simbolo scultoreo architettonico la figura di Cristo, “Porta stretta per il Regno dei Cieli” avessero da allora un chiaro percorso eucaristico, catechetico e di salvezza orientato verso Est, ove sorge il Sole, ulteriore simbolo della presenza continua di Cristo che con la sua luce dona la giusta vita al fedele, luce presente anche in sua assenza conla Luna, simbolo della Chiesa, Corpo di Cristo vivente,.in sua apparente assenza, ovvero la notte, avendo ben presente chela Luna è sorgente di luce notturna perché riflette la luce che riceve dal Sole, ovvero Cristo.
Proseguendo con alcune note di carattere iconografico seguite nella composizione costruttiva,la Chiesetta, seguendo i fondamentali principi della educazione Patristica cristiana ha anch’essa, oltre i semplici segni prima descritti, l’orientamento absidale verso Est, da cui riceve la luce tramite al vetrata absidale stessa al sorgere del sole.
Oltre l’abside orientato a Est dei quattro di cui è composta, ove e posto l’altare, di conseguenza gli altri tre absidi o punti terminali della croce d’impianto sono posti con orientamento in corrispondenza dei fondamentali riferimenti cosmici ovvero nella parete con forma absidale disposta verso Ovest, realizzata con vetrata in struttura metallica di generose proporzioni vi è l’ingresso all’area sacra, come verso Sud e verso Ovest, ove sono presenti gli altri due catini absidali formati da vetrate con struttura in ferro, ove la luce penetra all’interno dell’impianto costruttivo senza che esso possa essere visibile dall’esterno.
La vetrata del catino absidale collocata nell’orientamento a Nord dell’impianto ospita l’immagine di Maria, “Regina Apostolorum”, e la vetrata posta con orientamento verso Sud dispone le figure dei quattro evangelisti ritmicamente e simbolicamente ordinati secondo il ritmo percorso dalla Vita di Cristo, sempre come i Padri della Chiesa stabilirono ovvero:
la rappresentazione simbolica di  San Matteo Evangelista riferito alla nascita di Cristo, quella di San Luca Evangelista che rimanda al sacrificio e morte di Cristo, la successiva di San Marco Evangelista che rende testimonianza, sempre  con i suoi simboli, alla Resurrezione di Cristo, e infine l’immagine simbolica di San Giovanni Evangelista che evoca e rimanda alla Ascensione di Cristo, come è possibile comprendere anche dalla lettura dei sacri testi dei quattro Vangeli letti con la guida dell’insegnamento patristico.
È bene anche ricordare che le parole in lingua antica, in aramaico, con cui sono “nominati” i quattro punti cardinali con le loro iniziali formano la parola e nome proprio ADAM, ovvero Adamo, nostro progenitore.
In dettaglio abbiamo per Est, Ovest, Nord, Sud, quanto segue:
Anatolè=oriente (Est), Dismè=occidente (Ovest), Arctos=settentrione (Nord), Mesembrià=meridione (Sud), che abbreviato nelle iniziali degli antichi lemmi formano la parola A-D A-M= ADAM, anche “nome proprio”.
La simbologia dei tempi della vita di Cristo resa visibile con segni dalle raffigurazioni dei quattro evangelisti posti nella vetrata orientata a Sud ove il sole, simbolo anch’esso di Cristo è presente nella sua traiettoria dal sorgere al tramontare, è sottolineata da ulteriori simboli sempre riferiti ai Vangeli e ai quattro Evangelisti ovvero le figure del Tetramorfo e dei quattro fiumi che cingono l’Eden, sempre posti ritmicamente e con orientamento in medesima assonanza.
Si accenno di breve approfondimento della metodologia “simbologia (simbolica)” sopra accennata che riferisce ai quattro fiumi dell’Eden la rappresentazione visiva con cui anticamente si raffiguravano i quattro Vangeli e con essi i tempi della vita di Cristo (Nascita, Morte, Resurrezione e Ascensione) è bene prendere atto che sin dalle origini dei simboli trasmessi a noi dagli insegnamenti dei Padri della chiesa si può rammentare che::
il fiume GEON che è da interpretare come “pectus” ovvero “praeruptum” significa il Vangelo di Matteo […].
Il Ganges, cioè il PHISON, che va interpretato come  “caterva” ovvero “oris mutatio”, significa il Vangelo di Marco [...].
Anche il TIGRI può corrispondere al Vangelo di Luca […].
L’EUFRATE, fiume che è da interpretare come “frugifer”, ovvero “crescens”, conviene perfettamente al Vangelo di Giovanni, che comincia dalla divina generazione del Salvatore, descrisse soprattutto le cose utili all’illustrazione della sua natura divina;
―la fonte di riferimento per l’identificazione dei Quattro Fiumi è il testo di L.Cappelletti (CAPPELLETTI LORENZO, Gli affreschi della Cripta anagnina iconologia, Edizione Pontificia Università Gregoriana, Roma 2002, p.148)..
Si riporta anche un estratto del testo della: -Iconografia degli evangelisti di Micaela Soranzo [SORANZO MICAELA, Iconografia degli evangelisti, da Vita Pastorale N. 9 ottobre 2009, Rubriche, Arte e Liturgia, Editore: Periodici San Paolo S.r. Alba (CN)], da cui si è anche tratto spunto per la presente rappresentazione sempre della vita di Gesù attraverso il Tetramorfo: «….dal II sec. sono le quattro figure animate della visione di Ezechiele e di Giovanni a essere lette come il simbolo degli evangelisti, secondo le diverse interpretazioni dei Padri della Chiesa.
La spiegazione e distribuzione degli attributi risale a san Girolamo e con Gregorio Magno diviene fissa; nella tradizione e nell’arte figurativa cristiana, quindi, vengono attribuite ai quattro evangelisti le immagini simboliche in relazione agli incipit dei rispettivi vangeli (vedi le 4 vetrate di Grandson, Svizzera).
Matteo ha l’uomo, perché il suo libro inizia con la genealogia di Cristo, il Dio incarnato;
Marco ha il leone perché inizia con la predicazione di Giovanni Battista, «una voce che grida nel deserto»;
Luca ha il toro, che come il vitello e la giovenca è un animale sacrificale, perché il suo vangelo inizia con il sacerdote Zaccaria e il suo rito sacrificatore;
 Giovanni ha l’aquila, perché il suo Vangelo parla della divinità del Logos ed egli si eleva nelle regioni più alte e sublimi della conoscenza, come l’aquila si innalza in volo verso il sole, unico animale che può guardare direttamente la sua luce».
Riassumendo sono raffigurati per l’iconografia a rappresentazione dei tempi della vita di Gesù nella porzione absifdale a Sud del luogo di culto e nell’attiguo pavimento ivi circoscritto:
A) I quattro Evangelisti e i loro Vangeli secondo l’ordine simbolico dei tempi di Nascita (Matteo), Morte (Luca), Resurrezione (Marco) e Ascensione (Giovanni);
B) I quattro esseri del Tetramorfo riferiti sempre per l’indicazione simbolica dei quattro Evangelisti e secondo i tempi:
Nascita (L’Uomo),
Morte (Toro o Vitello),
Resurrezione (Leone) e
Ascensione (Aquila)
della vita di Gesù  che sono a loro volta riferibili ai quattro Vangeli sempre secondo l’ordine già esposto ossia
Matteo l’Uomo della Nascita,
Luca il Toro o Vitello della Morte,
Marco il Leone della Resurrezione e
Giovanni l’Aquila della Ascensione.
Il tetramorfo è la rappresentazione visiva d’insieme dei simboli dei quattro Evangelisti raccolti in un’unica figurazione vi compaiono i capi nimbati (cinti di nimbo-aureola) dell’Angelo (Uomo), del Toro, del Leone e dell’Aquila fasciati da quattro, sei  o otto ali; questo motivo iconografico è di origine orientale ed è molto frequente nella figurazione bizantina.
C) I quattro fiumi dell’Eden riferiti alla rappresentazione simbolica dei quattro Vangeli secondo l’ordine simbolico
il Geon (Matteo),
il Tigri (Luca),
il Phison (Marco) e
l’Eufrate (Giovanni).
Quindi per analogia (rapporto di somiglianza tra oggetti) collegando i tre gruppi di rappresentazione simbolica della vita di Gesù si ha:
il Geon ossia Matteo ossia l’Uomo per la Nascita,
il Tigri ossia Luca ossia il Vitello o il Toro per la Morte,
il Phison  ossia Marco ossia il Leone perla Resurrezione e
l’Eufrate ossia Giovanni ossia l’Aquila per l’Ascensione.
La disposizione dell’impianto dei suoi accessori e arredi sacri è posta con modulazione che permette alla comunità di esser presente alla liturgia eucaristica e della parola con giusto orientamento e sede, nonché di accogliere fraternamente, “missione ad gentes”, i nuovi incontri in un percorso che simbolicamente e di fatto li abbraccia mentre “camminano” per recarsi al luogo della celebrazione nei sui principali tempi, sia secondo la liturgia dell’unico Rito Romano nei suoi due usi (“Motu Proprio DataSummorum Pontificio –Benedetto XVI- anno 2007, il sette luglio) armoniosamente all’uso particolare o locale del Carisma neocatecumenale secondo lo statuto approvato dalla Santa Romana Chiesa nell’anno 2008, il giorno undici maggio durante il pontificato di Sua Santità Benedetto XVI con Decreto del Pontificio Consiglio per i Laici oggi “Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita”, +Josef Clemens Segretario, +Stanislaw Card. Rylko Presidente, visti gli articoli 131 e 133, § 1 e § 2, della costituzione apostolica Pastor Bonus sulla Curia Romana, il Pontificio Consiglio per i Laici.
In particolare l’abside, l’area sacra con l’altare e l’ambone, la disposizione delle sedute per i fedeli partecipanti e la iconografia catechetico liturgica, hanno una disposizione proporzionale e distributiva degli elementi che nasce dal recepimento in armonia con il Motu Proprio Data dell’anno 2007 del kérygma del Cammino che si concretizza in una sintesi catechetica fondata sul tripodeParola di Dio-Liturgia-Comunità” e finalizzata a condurre le persone, ovvero i fedeli alla comunione fraterna e a una fede matura.
La Chiesetta sorge  posizionata nell’area del “pianoro di Proba Petronia”, ovvero nell’area naturale nel prato dotato di giardini e soprasuolo dedicata  appunto alla scrittrice e patrizia romana vivente nel quarto secolo dopo Cristo e autrice di un poema, perduto, sulle lotte di Costanzo II contro l’usurpatore Magnenzio (351-53); poi (362 circa), convertitasi al cristianesimo e confermatasi nella fede cristiana, scrisse una narrazione del Vecchio e del Nuovo Testamento in 694 esametri, composta di frammenti virgiliani.
Non è da confondersi con Anicia Faltonia Proba, che (in fine del quarto secolo raccolse intorno a sé una specie di comunità monastica di fanciulle e di vedove.
La costruzione, come già accennato in premessa è realizzata in materiali semplici, ordinari e originari, utilizzati sin dai primordi dell’edilizia.
A tal motivo la struttura dell’elevato e delle volte di copertura che seguono un andamento particolare formando superfici concave e convesse con sezione ad arco di circonferenza sia nei tratti verticale che in quelli voltati nonché sub orizzontali, è realizzata in muratura portante con laterizi posti in opera con malta di acqua, calce e pozzolana, finita con intonaci sempre pozzolanici  originari completati da cicli di finiture e tinteggiature basate sempre dall’utilizzo delle materie prime e semilavorati semplici e originari.
L’impianto à dotato di ampie vetrate che concludono spazialmente i volumi dei quattro catini absidali e pseudo absidali orientati secondo le direttrici cosmiche fondamentali e realizzate con l’utilizzo di acciaio “corten” che ha la caratteristica simile al rame e al laterizio, nonché alle malte originarie, di accogliere il suo naturale invecchiamento senza deteriorarsi se non sottoposto a particolari fatiche da lavoro o stress strutturale, meteorologico, o eventi eccezionali.
Le geometrie compositive e costruttive sono anch’esse elementari e appartenenti alla così detta geometria euclidea proporzionate con l’adozione quale unità di misura del “cubito attico” corrispondente alla proporzione di un avambraccio umano, solitamente nella realtà quotidiana marittima quale antropomorfico modulo di misura delle “cime” o corde durante il loro ordinato accantonamento dopo l’uso con rotoli raccolti, che appunto essendo formato dagli operatori con l’utilizzo del proprio avambraccio nel riporle con tale forma, lo stesso avambraccio ne diviene l’elemento base di misurazione o proporzionamento.
Di conseguenza anche le proporzioni geometrico compositive costruttive son con l’utilizzo di tale elemento proporzionale più vicine alla fattezza umana.
Gli studi di vari autori del secolo diciottesimo, ampliati e approfonditi sino a oggi anche dallo scrivente, pongono quale rapporto proporzionale tra il “cubito attico” e il metro la quantità decimale 0,4 periodico ovvero un cubito attico è contenuto in un metro 2 volte e un quarto della sua proporzione e in tal modo, conoscendo tale rapporto, è possibile comporre geometricamente la costruzione assumendo il sistema di misurazione originario e odierno mediterraneo contemporaneamente, componendo vicini alle proporzioni dell’essere vivente sia corporee che percettive conoscitive ed esistenziali, ovvero gnoseologiche e ontologiche con una via verso la salvezza, avendo cos’i ancora più vicino al suo corpo, Tempio del Signore, il Tempio della liturgia eucaristica nelle sue misure materiali, teologiche e catechetiche con la coscienza della sua presenza nella comunità dei fedeli in condivisione del suo stato di vita quotidiano.
La quantità 0,4 periodico per essere promozionata con esattezza micrometrica nel procedimento compositivo è definita tramite nella sua quantità aritmetica con proporzionamento geometrico ovvero suddividendo l’unità odierna, corrispondente al metro in due porzioni e il suo quarto tramite il noto “Teorema di Talete” e le misurazioni aritmetico proporzionali numeriche sono determinate geometricamente con i segmenti definiti con il Teorema di Talete stesso in tutte le applicazioni compositive e costruttive orizzontali verticale e curvilinee dell’elevato.
La composizione proporzionata con fili di cantiere a distanza assegnata con il cubito attico, ruota nella sua stesura con tre fulcri che sono gli assi ove sono posizionati il tabernacolo, primo fulcro, l’ambone secondo fulcro e la “Porta” per accedere all’area sacra visibili come evidenziato dall’orditura della pavimentazione del sagrato e adottata per la orditura con disegni composti con la figura elementare del quadrato e della circonferenza che compongono la pavimentazione interna della Chiesetta e la sua orditura muraria costruttiva.
I tre punti o tripodi liturgici sono centro quindi dei tre elementi teologico liturgici, il tabernacolo ove è custodito il Corpo di Cristo, ovvero il pane, Corpo di Cristo presente per il miracolo continuo della Transustanziazione, l’ambone luogo della proclamazione della Parola di Cristo, luogo della sua presenza orante,la Porta ovvero Cristo come la sacra scrittura rassicura, luogo dell’ingresso verso la salvezza, miracolo del dono della Fede, Speranza e Carità,la Porta stretta ove la Comunità dei fedeli è accolta da Cristo e ne diviene parte dopo aver detto “SI” e oltrepassata. 
prima immagine: la nave (navata) della “Chiesetta” e dell’altare, del leggio e del tabernacolo nell’abside; in primo piano le sedute dei fedeli; nel catino absidale la rappresentazione di Cristo Risorto.
   seconda immagine:l’altare predisposto per la celebrazione con in primo piano l’ambone, e successivamente le candele, la croce, il calice, la pisside, il tabernacolo e il catino absidale composto da vetrate ad andamento curvilineo.
terza immagine: la Chiesetta vista dal transetto lato nord verso sud ove sul fondo, verso Sud vi è una vetrata ad andamento curvilineo con le immagini dei quattro evangelisti completi della simbologia a essi riferita secondo quanto stabilito sin dalle origini, dai Padri della Chiesa, La loro posizione è in successione cronologico simbolica atta a rappresentare le quattro fasi della vita di Cristo, secondo l’andamento anche del sole da est verso ovest.
1 la “Chiesetta della Pentecoste” nel pianoro di Proba Petronia come appare da Sud Ovest a “volo d’uccello2  In lontananza la Porta della Chiesetta, ovvero l’ingresso con il sagrato costituto da una porzione del giardino del Pianoro di Proba Petronia che può favorire attimi di condivisione
3 una immagine durante il percorso per avvicinarsi4 in cammino verso il sagrato della chiesetta con il volto rivolto verso la Porta, ovvero verso il Signore per dire a Lui “SI” attraversando “la Porta” e partecipando nella Liturgia Eucaristica con la propria vita nel corpo vivo della Chiesa alla presenza perenne dello Spirito Santo    5 in lontananza, nel catino absidale rivolto a Est, la immagine di Cristo Risorto mente ascende al Cielo con le braccia nell’atto di accogliere con un abbraccio eterno chi si affida a Lui anche con un semplice sguardo, cosciente del proprio limite umano. 6 Guardando dall’aerea limitrofa alla porta, attraverso di essa si scorge più da vicino l’immagine di Cristo Risorto che ascende al Cielo accolta nel volume del catino absidale, formato da una vetrata curvilinea articolata in settori e rivolta verso  Est come è in ordinato uso secondo quanto stabilito dai Padri della Chiesa sin dalle sue origini.
7 la concavità dell’ambito di ingresso nel prospetto principale della Chiesetta in continuità con le convessità degli archi ed elevato della porta composta in vetrate curvilinee con proporzioni progressive; nella soglia dell’Area Sacra l’immagine dell’Angelo che evidenzia gli Angeli e i Demoni.8 in Cammino verso il Corpo e il Sangue di Cristo nella Eucarestia celebrata nel semplice, essenziale e minimo spazio della Chiesetta della Pentecoste, luogo liturgico e catechetico condiviso dalla Comunità; la successioni delle superfici concave e convesse con andamento curvilineo sia nella Porta principale di ingresso al Luogo Sacro, accentua l’inquadramento visivo e l’orientamento del fedele in preghiera e adorazione, verso Est, origine reale del sorgere del Sole, nostra fonte di Vita fisica concreta, e simbolica di Cristo identificabile nella immaginaria orbita visibile in cielo del Sole stesso, che nasce a Est e tramonta o scompare (morte terrestre) a Ovest punto di “morte” simbolica di Cristo inizio del Cammino del Fedele verso la Salvezza per mezzo di Cristo risorto che eternamente nasce per ogni giorno di vita dell’uomo da Est.9 Le vetrate del Catino Absidale rivolte a Est, ricevono dal Sole che lì sorge la luce che illumina la Chiesetta, parte con i fedeli presenti del Corpo Vivente della Chiesa, ove si staglia l’immagine di Cristo nella Luce radiosa Sua e del Creato.  10 prosegue l’avvicinarsi verso Cristo con il medesimo orientamento ma vissuto più da vicino all’interno della Chiesetta, dopo aver varcato l’ingresso.11 ora si è nella nave o navata della chiesetta ove sono predisposte venti sedute per i partecipanti poste con un andamento a raggiera simmetrico avente centri generatori all’esterno dello spazio sacro, ossia nella porzione di sagrato che circoscrive l’impianto murario ; i due centri coincidono con due dei centri compositivi fissati per la formazione figurative e costruttiva delle murature e volte dell’elevato che si generano seguendo il percorso prima rettilieo ew successivamente curvilinee dell’asse generatore delle superfici che definiscono il volume costruttivo. 12 la visione dall’alto delle centinature con arco a sesto acuto che appartengono alla composizione costruttiva della Porta di ingresso alla Chiesetta. 13 l’elevato a quattro quarti di circonferenza convessi all’interno del volume  e la quattro porzioni di “toro” che concludono il volume in copertura intersecandosi viste dal basso verso l’alto con centro di vista in posizione centrale della croce con proporzioni così dette alla greca della conformazione di impianto (planimetriche). 14 la medesima immagine, con identico punto di vista effettuata con obiettivo fotografico con distanza focale meno ravvicinata15 uno sguardo rivolto verso la Porta della Chiesetta dall’abside con posizione attigua all’altare ove sono ben visibili le candele, la croce, la pisside e il calice alla destra dell’immagine stessa. Le superfici murarie d’impianto sono ritmicamente cadenzate dall’ordine compositivo generato dall’impronta colonnare.  16 l’abside composto dalla vetrata a porzioni di superfici curvilinee, come appare dalla nave della Chiesetta; in primo piano l’ambone e in successione l’altare con gli arredi liturgici e in posizione sottostante l’immagine di Cristo Risorto che ascende in Cielo il tabernacolo. 17 dal catino absidale del transetto nord la nave della Chiesetta, con l’area sacra ove è posto l’altare, l’ambone e in quota di gradino minore, cm 11,11 periodico la pavimentazione del transetto e della nave (navata) ove nel fondo si staglia la vetrata del Catino absidale sud che ospita le immagini dei quattro evangelisti accompagnati dalla loro simbologia identificativa come nella tradizione dei Padri della Chiesa. Nel colore celestiale sidereo della superficie di calpestio del pavimento dell’area dedicata all’assemblea dei fedeli partecipanti, si possono individuare le figure antropomorfe dei dodici Apostoli anch’essi ritratti accompagnati dalla simbologia identificativa definita dai fedeli per tradizione e confermata Padri della Chiesa.18 un’altra immagine con medesimo punto di vista in posizione dell’osservatore più vicina all’altare.19 l’abside orientato a sud con le vetrate e i profili metallici che lo compongono e le immagini dei quattro evangelisti accompagnati dalla simbologia dei quattro fiumi del Paradiso Terrestre che aiutano a identificarli come nelle origini del cristianesimo. Al centro geometrico dell’abside sud del transetto, il Cero Pasquale. 20 sempre più vicini allo spazio absidale sud21 il catino absidale orientato a sud: i quattro evangelisti disposti in successione come le regole simboliche della rappresentazione della Vita di Cristo richiedono, accompagnati dalla simbologia a loro dedicata orizzontale espressa con la rappresentazione dei quattro fiume dell’eden e la verticale sempre loro dedicata secondo la successione della fasi della vita di Cristo come è possibile ricordare leggendo il capitoletto in merito nel precedente testo generale.
Un breve riferimento:
A) I quattro Evangelisti e i loro Vangeli secondo l’ordine simbolico dei tempi di Nascita (Matteo), Morte (Luca), Resurrezione (Marco) e Ascensione (Giovanni);
B) I quattro esseri del Tetramorfo riferiti sempre per l’indicazione simbolica dei quattro
Evangelisti e secondo i tempi:
Nascita (L’Uomo),
Morte (Toro o Vitello),
Resurrezione (Leone) e
Ascensione (Aquila)
della vita di Gesù  che sono a loro volta riferibili ai quattro Vangeli sempre secondo l’ordine già esposto ossia
Matteo l’Uomo della Nascita,
Luca il Toro o Vitello della Morte,
Marco il Leone della Resurrezione e
Giovanni l’Aquila della Ascensione.
Il tetramorfo è la rappresentazione visiva d’insieme dei simboli dei quattro Evangelisti raccolti in un’unica figurazione vi compaiono i capi nimbati (cinti di nimbo-aureola) dell’Angelo (Uomo), del Toro, del Leone e dell’Aquila fasciati da quattro, sei  o otto ali; questo motivo iconografico è di origine orientale ed è molto frequente nella figurazione bizantina.
C) I quattro fiumi dell’Eden riferiti alla rappresentazione simbolica dei quattro Vangeli secondo l’ordine simbolico
il Geon (Matteo),
il Tigri (Luca),
il Phison (Marco) e
l’Eufrate (Giovanni).
Quindi per analogia (rapporto di somiglianza tra oggetti) collegando i tre gruppi di rappresentazione simbolica della vita di Gesù si ha:
il Geon ossia Matteo ossia l’Uomo per la Nascita,
il Tigri ossia Luca ossia il Vitello o il Toro per la Morte,
il Phison  ossia Marco ossia il Leone per la Resurrezione e
l’Eufrate ossia Giovanni ossia l’Aquila per l’Ascensione.
22 Maria, ReginaApostolorum” raffigurata nel “Cielo” del Catino Absidale nord.23 la volta composta dall’intersezione figurativa di volumi toroidali, che la rende costruzione stabile secondo la metodologia della fisica (statica). Nel Catino absidale rivolto a nord Maria Regina “Apostolorum“ 24 il transetto osservato con lo sguardo che parte da terra, ovvero dal suo piano di calpestio ove in promo piano si ha il gradino che lo separa dall’Area Sacra. Sul fondo sempre l’abside nord che le rappresentazioni iconografiche verticali (Maria Regina “Apostolorum“) e orizzontali, gli Apostoli.25 medesimo orientamento di visuale da maggior altezza26 una ulteriore immagine con medesimo orientamento visivo;: l’osservatore è a una altezza maggiore rispetto le precedenti immagini proposte.27 lo spazio absidale del transetto nord avvicinandosi alla immagine di Maria Regina “Apostolorum28 sempre più vicini a Maria Regina “Apostolorum” e gli Apostoli29 dal basso verso l’alto nel transetto nord30 l’Abside d’altare, il transetto, l’area sacra, l’altare, con gli arredi liturgici, il tabernacolo. In primo piano l’ambone centrale, le sedute dei fedeli e a seguire le immagini degli Apostoli nel piano di calpestio in tonalità siderea.31 i fedeli dal loro ambito in cui partecipano alla celebrazione eucaristica, guardando verso nord son accompagnati dalla immagine di Maria, Regina “Apostolorum” che li custodisce come la Sua immagine dall’alto.
Sub tuum praesidium confugimus,
sancta Dei genitrix,
nostras deprecationes
ne despicias in necessitatibus;
sed a periculis cunctis
libera nos semper,
Virgo gloriosa et benedicta.
(Noi cerchiamo rifugio nella Tua protezione,
santa madre di Dio,
non disprezzare le nostre invocazioni
nel momento della prova,
ma liberaci sempre
da tutti i pericoli,
Vergine gloriosa e benedetta).
32 il ritmo dell’ordine compositivo con la superficie dell’impianto costruttivo accompagna e guida lo sguardo dei partecipanti alla liturgia eucaristica verso il tabernacolo al centro del catino dell’abside d’altare orientato verso est. 33 la porzione dell’area sacra d’altare dell’abside avvicinata dal fedele che la può osservare mentre si accinge ad accogliere il Corpo di Cristo. 34 il centro geometrico, compositivo, costruttivo e liturgico della Chiesetta con una porzione dell’Area Sacra d’altare, l’ambone. le sedute dei fedeli e il pavimento sidereo con le immagini catechetiche degli Apostoli Pietro e Andrea. 35 l’area centrale della Chiesetta con i principali elementi liturgici e catechetici precedentemente sinteticamente descritti 36 lo spazio liturgico, nella sua completezza, visto obliquamente da ovest (porta principale) verso est (abside d’altare) intersecato dal transetto orientato nord sud.37 ulteriore immagine da ovest verso est, osservata da un punto di vista con quota maggiore, ove è possibile la fruizione visiva contemporanea delle immagini catechetiche presenti nella pavimentazione realizzata con proporzioni ritmiche e antropomorfiche originate dal cubito attico, antica misura comune nel mediterraneo.38 uno sguardo a “volo di uccello” ora da est verso ovest; al centro il tabernacolo, poi l’altare, l’ambone, le sedute, le pareti curvilinee con il ritmo dell’ordine compositivo, e ancor più verso ovest la Porta d’ingresso.39 l’impianto liturgico completo visto dal centro della copertura voltata. 
 continua……..
Il giorno 11 aprile 2023 si è predisposta la prima celebrazione della parola successiva ai giorni di riflessione ritiro e preghiera trascorsi nella località marine prima indicata posta nel litorale laziale. La parola Roccia celebrata per prima, come prevede l’elenco del percorso catechetico ed educativo, è stato spunto di ulteriori fraterne riflessioni e attività che hanno dato la possibilità ai fratelli e amici della Fraternità di momenti trascorsi in serena e costruttiva condivisione.
La Roccia, è l’elemento più presente nel creato. nella Enciclopedia Treccani edita nell’anno 1936 definisce il nome Roccia a un’associazione di minerali che per la sua mole e per il suo carattere di autonomia geologica viene a costituire parte importante della crosta terrestre e di conseguenza la pietra ovvero la Roccia estratta tra le varie tipologie esistenti è uno dei primi elementi utilizzato per la costruzione di elementi dedicati al culto di Dio, ove si svolge la “divina liturgia”, e alla vita della famiglia.
La Roccia nella scrittura e parola divina identifica Dio sia nell’antico che nuovo testamento.
Con la cadenza e programmazione caratteristica del percorso educativo intrapreso si sono quindi organizzate, e coralmente partecipate, una serie di liturgie dedicate alla Parola di cui si elencano i lemmi e di conseguenza la tendenza delle riflessioni e ricerche per ognuno di questi, nella piena fede che a guidare quanto operato è sempre l Spirito Santo “invocato” vivamente e coralmente ogni qual volta si è svolto un incontro sia di preparazione che di celebrazione.
Quasi tutti i partecipanti hanno avuto il dono di cogliere l’aiuto e presenza concreta dello spirito che si è manifestata  con discrezione durante gli incontri.  
Dal mese di aprile sin al mese di luglio 2023 si è svolta la preparazione e studio in condivisione per celebrare e riflettere per una conoscenza e consapevolezza profonda il valore reale e simbolico delle seguenti parole di seguito riportate in elenco::
1) Roccia
2) Pane
3) Agnello di Dio
4) Amen
5) Elezione
6) Pace
7) Vite, Vigna
8) Luce
9) Porta
10) Vino
11) Regno
12) Parola
13) Sposo.
Oltre la Sacra Bibbia, edita dalla Pia Società San Paolo Roma 1968, Ed. Paoline, Torino 1969 I.L.T.E., per la preparazione, lo studio e l’approfondimento simbolico, etimologico e di valenza nella Sacra Scrittura dei presenti termini è stato anche utilizzato,un Testo di studio piuttosto diffuso sin  dagli anni 1970 ovvero, a cura di Xavier Léon-Dufour, il  Vocabulaire de théologie biblique, edito nell’anno 1970, traduzione: Dizionario di Teologia Biblica, Marietti, 1980.
I testi editi dall’Istituto Treccani ovvero la Enciclopedia Italiana di Scienze, Lettere ed Arti, Istituto Giovanni Treccani anno 1929, Editoriale Bestetti & Tumminelli, Milano-Roma 1929 copia n.17694 Editore Rizzoli & C. Milano e successivi aggiornamenti,
il Dizionario Enciclopedico Italiano degli anni 1960 e successivi, il Dizionario di Storia, il Dizionario di Filosofia (2009), nonché il volume a cura di  JOSEPH RATZINGER, Introduzione allo spirito della liturgia, Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo 2013, il testo di studio  a cura di JEAN HANI , Il simbolismo del Tempio Cristiano, Ed. Arkeios, Roma 1996 l’ulteriore pubblicazione a cura di  MICHAEL LANG UWE , Rivolti al Signore, Ed. Cantagalli S.r.l., Siena 20082 e il testo dell’autore HUGO RAHNER, Simboli della Chiesa L’ecclesiologia dei Padri, Edizioni San Paolo S.r.l., Cinisello Balsamo (MI) 1995 , Edizione 1994 2 (1971 1964), anch’essi assunti quali riferimenti autorevoli per il profondo significato dei lemmi anche per i fondamenti filosofici  e teologici della lingua italiana,.sono stati e sono altro utile sussidio come altri testi specialistici a cui si rimanda in seguito, tra cui JEAN DANIELOU, Origene Il genio del Cristianesimo, Ed. Arkeios, Roma 1991 e il noto e originario “Manuale per Comprendere il Significato simbolico delle Cattedrali e delle Chiese” dal “Rationale divinorum officiorum“, Libro Primo a cura di Guillaume  Durand de Mende, Vescovo del XIII secolo; attualmente il manuale è disponibile a cura delle Edizioni ARKEIOS di Rodolfo Riva, 1999 seconda edizione tradotta da Rossana Campagnari, finita di stampare nel mese di novembre 2000.
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Martedì diciotto aprile 2023, alle ore 20.30, come di consueto accordo con gli Amici, presso alcuni ambienti facenti parete del complesso edilizio di pertinenza alla Chiesa di San Giuseppe al Trionfale si è effettuata la celebrazione della Parola  “Pane” con una particolare attenzione che ha condotto i partecipanti alla consapevolezza che Il pane, dono di Dio, è per l’uomo una sorgente di forza (Sal 104, 14 s), un mezzo di sussistenza così essenziale Che, mancare di pane, significa mancare di tutto (Am 4, 6; cfr. Gen 28, 20); nella preghiera, che Cristo insegna ai suoi discepoli, il pane sembra quindi riassumere tutti i *doni che ci sono necessari (Lc 11, 3); più ancora, esso è stato preso come segno del maggiore dei doni (Mc 14, 22)”. E’ da tenere ben presente il Pane Quotidiano, il Pane nel Culto e il Pane della Parola.
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A seguire il due maggio 2023, sempre come di consuetudine alle ore 20.30 nel medesimo luogo, ovvero la Chiesa di San Giuseppe al Trionfale, si è celebrata la parola “Agnello di Dio” seguendo i tempi celebrativi previsti ovvero la esposizione della “AMMONIZIONE AMBIENTALE” curata da Giancarlo, il successivo “Canto di ingresso”, la “AMMONIZIONE alla PRIMA LETTURA” introdotta da Enzo, la lettura del tesato scelto quale “PRIMA LETTURA (dal Pentateuco)” ossia dalla Genesi (22, 1-13), il successivo “Canto” e a seguire come questa celebrazione prevede, la “AMMONIZIONE alla SECONDA LETTURA” in questa occasione a cura di Grazia, a cui è succeduta la “SECONDA LETTURA (dal Pentateuco in sostituzione dei previsti Libri Sapienza – Profeti), ossia dall’Esodo (12, 1-5). A seguire il Canto e la “AMMONIZIONE alla TERZA LETTURA” effettuata da Giancarlo, in introduzione alla “TERZA LETTURA (dal Nuovo Testamento)” ossia dalla lettera di Pietro (1, 17-19). Il successivo Canto e la “AMMONIZIONE AL VANGELO” di Grazia ha preceduto la lettura del Vangelo di Giovanni (35,39) eseguita dal Sacerdote Don Christian Cabrera,  le così dette RISONANZE dei partecipanti, la successiva OMELIA del Sacerdote, le PREGHIERE spontanee e la recita del Padre Nostro, seguita dalla Benedizione e dal Canto Finale hanno resa compiuta come necessita la celebrazione della parola “Agnello di Dio”. Le fasi appena indicate quali memoria della celebrazione della Parola di martedì due maggio 2023 sono i tempi celebrativi stabiliti dalla Comunità per tutte le celebrazioni della parola, che solitamente hanno vita con cadenza settimanale.
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Il nove maggio 2023 fu tema della celebrazione la parola “AMEN”; alle ore 20.30 sempre nella semplice regola temporale condivisa si svolse la riunione nel complesso edilizio parrocchiale di San Giuseppe al Trionfale nella cappella posta al primo piano della casa. Nel ”Vocabulaire de théologie biblique” a cura di Xavier Léon-Dufour, prima citato è ben chiaro che è bene il termine “AMEN” non sia reso sempre ed esattamente dalla traduzione un abituale «Così sia!», che esprime un semplice augurio ma una certezza, “Il termine Amen significa innanzitutto: certamente, veramente, sicuramente, o semplicemente sì. In effetti questo avverbio deriva da una radice ebraica, che implica fermezza, solidità, sicurezza (cfr. *fede). Dire Amen, significa proclamare che si ritiene vero ciò che è stato detto, al fine di ratificare una proposta o di unirsi ad una preghiera“.La fraternità condivise spinta da tele indirizzo educativo si rese consapevole del valore di impegno e acclamazione del verbo celebrato quale conferma dell’intera assemblea. Fu anche percorso quale attivo confronto fraterno lo spunto di studio nel vivere l’Amen di Dio e l’Amen cristiano.
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Martedì sedici maggio 2023 si celebrò la parola “Eletto. Eletto nella Sacra scrittura è una parola, un lemma, un termine che definisce e indica chi nella vita è stato scelto dal Signore per rendergli gloria, con il dono della vita da lui ricevuta, dedicando il dono della vita quale possibilità temporale di eseguire la Volontà del Creatore per manifestarlo quale strumento del Signore stesso, malgrado i limiti e la non conoscenza personale “facendone benedizione per tutta la terra”. Eletto è un prescelto come anche una comunità o un popolo, che nel compiere la vita ricevuta serve il Signore, nelle sconfitte  nelle vittorie compite con il corpo, il cuore  e l’anima.L’origine del’elezione è una iniziativa gratuita, un dono di Dio che esprime la trascendenza di Colui che sempre “Ama per Primo”.In Isaia, 45, 1 (La vittoria di Ciro) se ne ha ben chiara descrizione: -Dice il Signore del suo eletto, di Ciro: “Io lo ho preso per la destra, per abbattere davanti a Lui le nazioni, per sciogliere le cinture ai fianchi dei re,per aprire davanti a lui i battenti delle porte e nessun portone rimarrà chiuso”.-È ben aver sempre presente che l’uomo peccatore è incurabilmente diffidente di Dio e invidioso dei suoi Fratelli, è sempre restio ad accettare la grazia di Dio.Gesù Cristo è l’eletto di Dio, evoca sempre la Figura del Servo, e nel  Nuovo Testamento la parola eletto dedicatagli appare nei momenti solenni ovvero il battesimo, la trasfigurazione, o la crocifissione. La presenza dei carismi per mezzo dello Spirito Santo rivela che l’elezione non si “spegne”.La Chiesa universale, corpo di Cristo vivente unisce le infinite vocazioni particolari, è Eletta.L’eletto, singolo, popolo unione di moltitudine (VT) o Chiesa Corpo di Cristo vivente, serve Dio nella sua volontà con coscienza nell’Umiltà essenziale per servirlo (NT), nella realtà, nel prossimo, in chi si incontra nella certezza priva di orgoglio che ciò che si compie è nella volontà di chi ti ha scelto per eseguire ciò che necessita in quel momento, in quel luogo, con chi è presente. In Isaia, 45, 1 (La vittoria di Ciro) se ne ha ben chiara descrizione: -Dice il Signore del suo eletto, di Ciro: “Io lo ho preso per la destra, per abbattere davanti a Lui le nazioni, per sciogliere le cinture ai fianchi dei re,per aprire davanti a lui i battenti delle porte e nessun portone rimarrà chiuso”.-È ben aver sempre presente che l’uomo peccatore è incurabilmente diffidente di Dio e invidioso dei suoi Fratelli, è sempre restio ad accettare la grazia di Dio.Gesù Cristo è l’eletto di Dio, evoca sempre la Figura del Servo, e nel Novo Testamento la parola eletto dedicatagli appare nei momenti solenni ovvero il battesimo, la trasfigurazione, o la crocifissione.La presenza dei carismi per mezzo dello Spirito Santo rivela che l’elezione non si “spegne”.La Chiesa universale, corpo di Cristo vivente unisce le infinite vocazioni particolari, è Eletta. L’eletto, singolo, popolo unione di moltitudine (VT) o Chiesa Corpo di Cristo vivente, serve Dio nella sua volontà con coscienza nell’Umiltà essenziale per servirlo (NT), nella realtà, nel prossimo, in chi si incontra nella certezza priva di orgoglio che ciò che si compie è nella volontà di chi ti ha scelto per eseguire ciò che necessita in quel momento, in quel luogo, con chi è presente.
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Come di consueto martedì venti tre maggio, sempre alle ore 20.30 nel medesimo complesso edilizio di San Giuseppe al Trionfale ha avuto luogo la fraterna  celebrazione dedicata alla parola “Pace“.La Pace è da sempre un dono di Dio, è il desiderio innato che vive nell’essere vivente e lo attua con la ricerca di Dio nel prossimo, incontrandolo con il Cuore (senso biblico).Questo desiderio è espresso nella Sacra Scrittura ovvero nell’Antico e Nuovo Testamento in cui è bene avere la coscienza che quando espressa descrive “Pace e Benessere” che ha origine dalla parola ebraica “salom”.Salom” definisce lo stato di essere intatto, completo, di terminare o completare un’opera come una casa ove abitare, tornare alle originarie condizioni di completezza, non si limita a esprimere e definire lo stato non belligeranza che nasce con un “patto” che conclude lo stato di “guerra”.La parola (pace) si accorda, essendo un desiderio innato nell’essere vivente con lo stato di “Pace e Felicità” che si ricerca costantemente nella vita sia consciamente che istintivamente, esenti dalla illusione di giungervi da soli, con le proprie capacità e non con l’aiuto e dono di Dio, invocando con la preghiera e la disponibilità del Cuore a esserne “mezzo” nelle mani del Signore, secondo la Sua Volontà, per giungere a una concordia fraterna familiare, comunitaria, generale.Cristo, “vincendo il peccato nella Croce”, diviene la strada visibile, reale e concreta che il Signore dona all’essere vivente nel coltivare i doni della Fede, della Speranza e della Carità con la conversione.Nel concreto i discepoli testimoniano, dal tempo della venuta di Cristo in poi, la “pace ebraica religiosa” della Pasqua di Israele come “trasfigurazione della pace romana” nata nel popolo di Roma dall’esercizio del principio del “diritto romano”, unendo di fatto i due popoli con Cristo, “Signore di tutti”.Nella lingua romana, il latino, pace, “pax”, nasce dalla medesima radice di “pak-, *pag-” che si ritrova in “pangere” «fissare, pattuire» e “pactum” «patto». Che sancisce la condizione di normalità di rapporti o atto di passaggio in uno stato di non belligeranza tra fazioni, nonché armonia tra due entità.Il termine orientale pace che ha origine in “Salom” come poc’anzi citato, definisce lo stato di completezza e armonia, di termine, ovvero conclusione di un’opera, il termine occidentale pace che nasce da “pax” individua un accordo, un buon accordo che garantisce la possibilità di uno stato di tranquillità materiale.I discepoli testimoniando la Presenza quotidiana di Cristo con lo Spirito Santo di fatto aprono continuamente la strada alla unione anche oggi della “Pace trascendente orientale” interiore alla “Pace immanente occidentale” quale regola di rapporti tra entità. Si riporta un profondo ed educativo pensiero di un sacerdote 
Fissare lo sguardo su Cristo è riconoscere, tenere lo sguardo fisso su una presenza gratuita e donata al mondo intero. Lo sguardo missionario nasce da lui. Più uno fissa Cristo più si rende conto che è un dono universale che abbraccia il mondo. Lo slancio è legato alla unità come dono di Cristo perché il mondo creda è perché unità senza appartenere a lui non c’è. L’Unità dei testimoni era perché erano tutti attaccati a Cristo. Non c’è alternativa a questa dinamica dell’avvenimento Cristiano. Capire che nella unità con quello accanto si gioca la pace del mondo intero è capire la portata di quello che ha portato Cristo al mondo. Nella mia comunità c’è l’avvenimento che salva il mondo e questo rende il mio lavoro di fraternità rende il mio servizio al mondo.La profezia della pace nasce da come sto con chi mi è accanto. Essere attenti a questo tra di noi, a questa realtà vuol dire accogliere avvenimento di Cristo in tutta la sua portata.Umile, sembra insignificante ma è per il mondo intero. Fissarelo sguardo su Cristo in mezzo a noi è opera più travolgente che possiamo fare. Questo ci chiede sacrificio e rinnegamento di noi stessi. Siamo consapevoli che non è un sacrificio solo per il dettaglio in cui siamo ma per la pace di tutti. Insistere sulla unità significa insistere sulla salvezza del mondo. Offriamo questo amore alla unità tra noi per offrire Cristo al mondo. Altrimenti la nostra fede è vana. La CELEBRAZIONE DELLA PAROLA in questa occasione ebbe la AMMONIZIONE AMBIENTALE curata da Giancarlo; il Canto di ingresso scelto fu Quiero cantar a cui seguì la AMMONIZIONE alla PRIMA LETTURA sempre proposta da Giancarlo e la PRIMA LETTURA fu individuata nel Pentateuco con il brano dall’Esodo (21, 33-34) letto da Giancarlo. Seguì il Canto: Si hoy escucháis su voz e la AMMONIZIONE SECONDA LETTURA  fu curata da Grazia che espose anche la SECONDA LETTURA (dai Libri Storici, Poetici, Sapienziali, Profetici) Primo dei Re (9, 1-25), seguita dal Canto: Dayenù. Vittoria curò sia la AMMONIZIONE TERZA LETTURA che la conclamazione  della TERZA LETTURA stessa scelta dagli Atti degli Apostoli Atti (7, 1-29) completata dal Canto: Pregon Pascual. Grazie proclamò la AMMONIZIONE AL VANGELO di Luca (24, 1-36) letto dal sacerdote. Seguirono sempre le così dette RISONANZE, la  OMELIA e le PREGHIERE spontanee completate dalla recita del Padre Nostro, la Benedizione e il Canto Finale.
*
Il martedì successivo ovvero il trenta maggio 2023, sempre alle 20.30 e nel medesimo edificio parrocchiale con a consueta metodologia fu celebrata la parola “Vite” – “Vigna“. Nel ”Vocabulaire de théologie biblique” a cura di Xavier Léon-Dufour, a cui spesso ci riferiamo per approfondire la conoscenza del significato presente e trascendente dei termino biblici, è evidenziato chepoche colture dipendono, come la vite, sia dal lavoro attento ed ingegnoso dell’uomo, sia dal ritmo delle stagioni. La Palestina, terra di vigneti, insegna ad Israele a gustare i frutti della terra, a dedicarsi totalmente ad un lavoro promettente, ma anche ad aspettarsi tutto dalla generosità divina. D’altra parte la vite, così preziosa, ha qualcosa di misterioso. Non ha valore che per il suo *frutto. Il suo legno è senza valore (Ez 15, 2-5) ed i suoi tralci sterili non sono buoni che per il fuoco (Gv 15, 6); ma il suo frutto rallegra «dèi e uomini» (Giud 9, 13); la vite nasconde quindi un mistero più profondo; se apporta la gioia nei Cuore dell’uomo (Sai 104, 15), è una vite il cui frutto è la *gioia di Dio“.
Riguardo la celebrazione successiva, ovvero del successivo martedì, sei giugno, si riportano alcuni estratti dagli atti preparatori; lo scritto recita:
Cara Silvia, Cara Vittoria,trascrivo al seguito, quale conclusione del lavoro svolto, i testi oggetto di studio e riflessioni in data odierna, per la organizzazione della CELEBRAZIONE DELLA PAROLA per il martedì sei giugno 2023 -Luce Tenebre-.
Schema della programmazione CELEBRAZIONE DELLA PAROLA per il martedì sei giugno 2023 Luce Tenebre
*AMMONIZIONE AMBIENTALE (Silvia) Canto di ingresso:
È la Pasqua del Signore
AMMONIZIONE PRIMA LETTURA (Giancarlo) PRIMA LETTURA (Pentateuco) Genesi (1, 1-8) (Giancarlo) Canto uno:
Questo ci sarebbe bastato.
AMMONIZIONE SECONDA LETTURA (Silvia)
SECONDA LETTURA (dai Libri Storici, Poetici, Sapienziali, Profetici) Giobbe (18, 1-7) (Silvia) Canto due:
Risuscitò
AMMONIZIONE TERZA LETTURA (Vittoria)
TERZA LETTURA (dal N.T. – Atti, Lettere S. Paolo Lettere Cattoliche, Apocalisse) Apocalisse (21,21-25) (Vittoria)
Canto tre: Pentecoste
AMMONIZIONE AL VANGELO ( uno tra Vittoria Silvia Giancarlo) Vangelo Giovanni (12, 34-39 ed eventualmente seguenti) (Sacerdote)
RISONANZE OMELIA
PREGHIERE spontanee Padre Nostro Benedizione
Canto Finale:
come i Cantori dispongono
* Riflessione propedeutica introduttiva allo studio odierno: LUCE sabato 3 giugno 2023
Il primo atto del Creatore, annesso alla creazione del Cielo e della Terra, che  si può apprendere con la lettura nell’Antico Testamento, nel primo Capitolo e nei primi versetti della Genesi, è la manifestazione percepibile della Luce, la sua distinzione con le tenebre ove essa non è.
È il primo giorno dell’esistente, del Creato.
La Luce genera e consente la nostra vita così come la conosciamo, corporea e spirituale, è manifestazione tangibile, concreta, esistenziale, provvidenziale e misericordiosa della onnipresenza del Signore.
Nell’Antico Testamento la Luce del giorno definì dal caos originario, il Cosmo con la Luce dei corpi celesti, gli astri, le stelle di cui il Sole è il più vicino alla terra, Nostra Casa.
La Luce è descritta, evidenziata e richiamata concretamente e simbolicamente nella Antica Scrittura frequentemente, quale riferimento teologico e catechetico, quale “teofania”, ovvero apparizione della divinità.
Si manifesta quale opposta realtà la definizione dello “shĕ’ōl”, nome ebraico biblico della dimora sotterranea dei defunti, luogo di silenzio e tenebre, dimora delle ombre, paese di oblio e di morte.
La Luce è un dono di Dio e permette la piacevole vista del Sole, descritta anche nella Sacra
Scrittura; nascere è vedere la Luce.
Nel vocabolario italiano la Luce è definita quale “ente fisico al quale è dovuta l’eccitazione nell’occhio delle sensazioni visive, cioè la possibilità, da parte dell’occhio, di vedere gli oggetti”, permette di vivere una compiuta, anche se imperfetta, conoscenza della realtà.
Con la nascita di Cristo, la Sua presenza tra noi con la predicazione e i suoi Atti egli è la Luce, la salvezza promessa dai Profeti che diviene Realtà salvifica.
Cristo è la Luce del Mondo e chi crede in Lui è Figlio della Luce, distaccandosi dalle tenebre di una vita priva della Sua presenza.
I Padri della Chiesa hanno definito sin dalle origini il Sole, simbolo di Cristo, quale Luce della perenne sua presenza nella vita che si alterna con la Luna, simbolo della Chiesa, che risplende della Luce riflessa del Sole, ovvero di Cristo, in attesa del suo ritorno.
A tal motivo le chiese ordinarie sono costruite con l’abside d’altare rivolto a est verso il sorgere del Sole, simbolo della venuta e presenza di Cristo, e con la Porta, ulteriore simbolo di Cristo  rivolta verso ovest, ove i fedeli entrando nel Luogo sacro e con tale azione dicono Si all’invito o chiamata del Signore ad essere suoi figli, figli della Luce (del Padre Celeste). Il testo preparatorio originario riporta anche le frasi e parole delle letture della Sacra Scrittura.
 
E’ stato ed è di grande aiuto e riferimento oltre i testi citati il volume di Edouard Urech dal titolo Dizionario dei simboli Cristiani, delle Edizioni Arkeios opera conosciuta anche con il titolo originario DICTIONNAIRE DES SYMBOLES CHRÉTIENS edito nell’anno 1972 da LABOR ET FIDES S.A. 1, rue Beauregard – 1024 GENÈVE (CH); la Traduzione dal francese è stata curata da PAOLO PIAZZESI e FRANCA FIORENTINO PIAZZESI; l’opera ora disponibile fu finita di stampare nel mese di aprile 2004; riferimento dell’anno 1995, EDIZIONI ARKEIOS srl con sede in Via Flaminia, 109-00196 Roma – Tel. 06-3235433 – fax 06-3236277 Stampata in Italia da S.T.A.R. – Via Luigi Arati, 12-00151 Roma.
Altro autore di riferimento riguardo lo studio dei simboli durante le preparazioni è stato Michel Feuillet con la sua opera LESSICO DEI SIMBOLI CRISTIANI il cui titolo originale è LEXIQUE DES SYMBOLES CHRÉTIENS, stampato da “Presses Universitaires de France”, nell’anno 2004; la traduzione dal francese è di Livia Pietrantoni; la stampa si è conclusa nel mese di dicembre 2006; dall’anno 2007 ha anch’esso riferimento le EDIZIONI ARKEIOS srl con sede in Via Flaminia, 109-00196 Roma – Tel. 06-3235433 – fax 06-3236277 Stampata in Italia da S.T.A.R. – Via Luigi Arati, 12-00151 Roma.
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Il successivo incontro celebrativo della parola fu dedicato al termine Porta, parola ed elemento di “cardinale riferimento” nella scrittura e nella realtà della vita della Chiesa, Corpo di Cristo vivente.
si svolse martedì 13 giugno 2023, all’ora sempre tacitamente convenuta, ovvero le 20.30. Si trascrive il testo individuato nel “Vocabulaire de théologie biblique” a cura di Xavier Léon-Dufour; la ricerca illustrativa della parola Porta fu curata nel Vocabolario da I- BRIÉRE:
PORTA Aperta, la porta lascia passare, entrare ed uscire, permettendo la libera circolazione: esprime l’accoglienza (Giob 31, 32), una possibilità offerta (l Cor 16, 9). Chiusa, impedisce di passare: protegge (Gv 20, 19) od esprime un rifiuto (Mi 25, 10). Suggerisce quindi anche l’idea di un vaglio. 
Vecchio (Antico) Testamento  I.LA PORTA DELLA CITTA’
La città custodisce il suo ingresso mediante una porta monumentale, fortificata, che protegge dagli attacchi del nemico ed introduce gli amici: «lo *straniero che è nelle porte» (Es 20, 10) partecipa ai privilegi di Israele.
La porta garantisce tosi la sicurezza degli abitanti e permette alla città di costituirsi in Comunità; vicino alla porta si concentra la vita della città: su questa  piazza  hanno  luogo  incontri  (Giob  29,  7;  Sal  69,  13),  affari Commerciali (Rut 4, 1-11), partenze per la guerra (1 Re 22, 10), manovre politiche (2 Sani 15,1-6) e soprattutto giudizi (Deut 21, 19;    22, 15; 25, 7; Am 5, 10-15;     Giob 5, 4; 31, 31, 21; Prov 22, 22; 24, 7). Giustizia e sicurezza qualificano la porta (Is 28, 6). La porta si identifica quindi in qualche modo con la città, ed il termine può designare la stessa città (Deut 28, 52-57), e giunge perfino a connotare la *potenza della città. Impadronirsi della porta significa diventare padrone della Città (Gen 22, 17); riceverne le chiavi, significa essere investiti del potere (Is 22,22). Per analogia, le porte dello sheol o della *morte designano il soggiorno misterioso dove ogni uomo è condotto (Sal 107, 18; Is 38,10), di cui Dio solo conosce l’ingresso (Giob 38, 17), ma anche la potenza su Cui è il solo a poter prevalere (Sal 9, 14; Sap 16, 13; cfr. Mt 16, 18).
Gerusalemme è la città santa per eccellenza dalle porte antiche (Sal 24, 7 ss) che Jahve ama in modo particolare (Sal 87), perché egli stesso le ha rafforzate  (Sal  147,  13).  Il  *pellegrino  che  le  varca  ha  la  sensazione dell’unità e della pace (Sal 122). Ritenuta inespugnabile, essa può offrire ai suoi abitanti la sicurezza chiudendo le sue porte; tuttavia manca che a queste porte si amministri la giustizia (Is 1, 21 s; 29, 21). I profeti allora intravvedono una Gerusalemme nuova aperta alle nazioni e nello stesso tempo salda nella pace e nella giustizia (Is 26, 1-5; 60, 11; Ez 48, 30 ss; Zac 2, 8 s)
II. LA PORTA DEL CIELO
Indubbiamente Jahve apre le porte del cielo per mandare la pioggia, la manna (Sal 78, 23) ed ogni specie di *benedizioni alla terra (Mal 3, 10); ma dopo Che il paradiso è stato chiuso, l’uomo non comunica più familiarmente con Dio. È il *culto a stabilire una relazione tra i due mondi, quello divino e quello terreno: così Giacobbe aveva riconosciuto in Bethel « la porta del cielo » (Gen 28, 17). L’israelita Che si presenta alle porte del tempio desidera avvicinarsi a Jahve (Sal 100, 4); ma udrà il sacerdote ricordargli le condizioni d’ingresso: la fedeltà all’alleanza, la giustizia (Sal 15; 24; Is 33, 15 s; cfr. Mi 6, 6-8; Zac 8, 16 s): «La porta di Jahve è qui, i giusti vi entreranno» (Sal 118, 19 s). Geremia, dal canto suo, riferendosi a queste stesse porte, dichiara che la condizione è ben lungi dall’essere adempiuta: l’incontro con Dio è illusorio, il tempio sarà respinto (Ger 7; cfr. Ez 8 – 11). Gerusalemme perde la propria ragion d’essere.  Sarà  «togliendo  il  male  di  mezzo  ad  essa»,  e  non  già chiudendone le porte alle nazioni, che la città sarà santa. Quando il tempio viene distrutto, Israele si rende conto che l’uomo non può salire al cielo; perciò, nella sua preghiera, Chiede a Dio di squarciare i cieli e di scendere lui stesso (Is 63, 19): prenda dunque la guida del gregge e gli faccia varcare le  porte (Mi 2, 12 s; cfr.   Gv 10,4). 
Nuovo Testamento  Gesù esaudisce questo desiderio; al battesimo il cielo si apre ed egli stesso diventa la vera porta del Cielo, discesa sulla terra (Gv 1, 51; cfr. Gen 28,17), la porta che introduce ai pascoli dove i beni divini sono liberamente offerti (Gv 10, 9), l’unico *mediatore: per mezzo suo Dio si Comunica agli uomini, per mezzo suo gli uomini hanno accesso al Padre (Ef 2,18; Ebr 10,19). Gesù mentre detiene la chiave di David (Apoc 3, 7), nello stesso tempo stabilisce delle esigenze: l’ingresso nel regno di cui ha consegnato le chiavi a Pietro ((Mi) Mat 16, 19); l’ingresso nella vita, nella salvezza presentate Come una città o una sala di banchetti, ingresso che è una porta angusta, la conversione ((Mi) Mat 7,13 s; Lc 13, 24), la fede (Atti 14,27; Ef 3,12). Colui Che non starà in guardia, troverà la porta chiusa ((Mi) Mat 25, 10; LC 13,25). Ma Gesù, che si è impadronito della chiave della morte e dell’inferno (Apoc 1,18), è vincitore del male e ha concesso alla sua Chiesa di essere più forte delle potenze malvagie ((Mi)Mat 16, 18). Alla fine dei tempi, città e cielo coincidono. L’Apocalisse ci fa vedere realizzati  gli  annunci  di  Isaia,  Ezechiele  e  Zaccaria:  la  Gerusalemme celeste ha dodici porte; esse sono sempre aperte, e tuttavia il male non vi entra più; sono la giustizia e la pace in pienezza; è lo scambio perfetto tra Dio e la umanità (Apoc 21, 12-27 e 22, 14-15).
Le letture scelte furono:
Pentateuco, Genesi (28,15-17)
Libri Storici, Profetici, Isaia (22,22)
N.T, Atti (14,27)
Vangelo, Luca (13,25-27)
la celebrazione in questa occasione fu curata da Angelo, Carolina, Grazia, Giovanni, Maria e Vittoria.
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*CELEBRAZIONE DELLA PAROLA del giorno martedì venti giugno 2023 fu Vino con la AMMONIZIONE AMBIENTALE condivisa nella preparazione tra Victoria, Ruth, Enzo e Giancarlo, a cui è seguito il  Canto di ingresso: Si hoy escucháis su voz  (Se oggi ascoltate la sua voce) e la successiva  AMMONIZIONE PRIMA LETTURA, nonchè la PRIMA LETTURA dal Pentateuco, Deuteronomio (11, 13 e seguenti) a cura ambedue di Ruth. quindi la esecuzione del così detto primo canto scelto in: Dayenù (Questo ci sarebbe bastato). Enzo curò la AMMONIZIONE SECONDA LETTURA e la SECONDA LETTURA (dai Libri Storici, Poetici, Sapienziali, Profetici) Cronache (1, 39 e seguenti (Enzo) conclusa dalla scelta ed esecuzione del Canto così detto secondo: Risucitò (Risuscitò). Victoria curo la AMMONIZIONE TERZA LETTURA e la TERZA LETTURA (dal N.T. – Atti, Lettere S. Paolo Lettere Cattoliche, Apocalisse) Romani (14, 19 e seguenti) conclusa in tal caso dal Canto così detto terzo: Pentecostes (Pentecoste). Giancarlo preparò la AMMONIZIONE AL VANGELO ovvero il  Vangelo Giovanni (2, 1-11 ed eventualmente seguenti)letto dal Sacerdote e seguito dalle così dette RISONANZE, dalla OMELIA, dalle PREGHIERE spontanee, dalla recita del Padre Nostro e dalla Benedizione. Quiero Cantar (Voglio Cantare) fu il così detto canto finale.Fu cantore e guidò i canti Ruth, in Spagnolo e in Italiano come possibile.
Un breve pensiero riguardo la parola celebrata:
La vite con i suoi tralci oggetto dell’opera dell’uomo origina (fa nascere) il vino, dono del Creatore per il sostentamento quotidiano della vita dell’uomo che  con il proprio lavoro, preghiera visibile, partecipa attivamente alla continua e incessante opera di costruzione del Creato per il proprio benessere in obbedienza alla volontà del Creatore.Il vino è un elemento della vita quotidiana, come l’acqua, il pane, l’olio, l’aria e quanto permette la vita nella pace, ovvero nel compimento continuo di ciò che è bene per ognuno di noi.
Nella antica scrittura (VT) come nella nuova (NT) il vino ha una capacita immanente e trascendente, perché oltre a essere nel giusto equilibrio gradevole sostentamento fisico, ovvero immanente, è anche mezzo trascendente con cui il Signore è presente e si manifesta perennemente nella vita dell’uomo, quando transustanziato con il pane, suo Corpo, è il Sangue di Cristo.
Successivamente al diluvio universale, Noè fu il primo uomo che con la sua opera, seguendo la volontà di Dio coltivò l’uva da cui ebbe il dono del vino, e in tale circostanza ebbe anche la consapevolezza di suoi effetti per il corpo e la mente dell’uomo, a cui con grande equilibrio si adeguò.
Vi sono concrete testimonianze nella scrittura, ovvero nel primo libro delle Cronache negli ultimi versetti del capitolo dodici, dell’uso del vino in manifestazioni festose per la “gioia in Israele” anche al tempo di Davide.
Sempre con il vino durante una cerimonia pubblica nunziale nella Città di Cana, Cristo si manifestò per la prima volta pubblicamente creando stupore sia nei partecipanti che negli organizzatori, che compresero con non poco imbarazzo la “bontà” del Vino donato da Cristo per il festeggiamento nunziale.
Il vino è bene assumerlo con “sobrietà”, come sottolinea Paolo scrivendo ai Romani, e con la accortezza di non bere vino, mangiare carne e ne altra cosa per la quale “tuo fratello possa scandalizzarsi”.
È a tal proposito bene anche tener presente che presso gli Ebrei sin dalle antiche origini, era stato istituito il “Nazireato”, ovvero una volontaria astensione da ogni bevanda alcolica, dal tagliarsi i capelli e fuggire da ogni impurità rituale come un a speciale consacrazione a Dio.
Se ne ha testimonianza di tale istituto nel testo di Amos, Capitolo 21 versetto 12 e successivi.
Il lavoro esercitato in partecipazione orante al completamento con Dio del Creato, trae dai Suoi doni, ossia dai frutti ottenuti, sostentamento quotidiano alla vita fisica, mentale e spirituale.
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Il ventinove giugno 2023, medesime modalità si celebro la parola “Regno“.
«Il regno di Dio è vicino»: questo è l’oggetto primario della predicazione di Giovanni Battista e di Gesù (Mt 3, 1; 4, 17). Per sapere in che cosa consista questa realtà misteriosa che Gesù è venuto ad instaurare in terra, quale ne è la natura e quali ne sono le esigenze, bisogna ricorrere al NT. Tuttavia il tema proviene dal VT, che ne aveva abbozzato le grandi linee, mentre ne annunziava e ne preparava la venuta.
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Martedì undici luglio 2023, ore 20.30, celebrazione della parola “Parola“. 
La parola nello spirito del pensiero orientale è un concetto espresso con un vocabolo che si concretizza e diviene vero se seguito o anticipazione di un evento, di un fatto, di un avvenimento ordinario o straordinario.
Nella lingua italiana la sua origine etimologica è da individuarsi nel vocabolo tardo latino parabola, ovvero ”paraula”.
Di conseguenza la parola è lo strumento con cui in modalità immediata e completa due esseri che si incontrano possono condividere comunicando ciò che occorre.
Agli esseri viventi, ovvero inizialmente ad alcuni, Dio si è rivelato e manifestato tramite la Sua Parola cui sono succeduti fatti inerenti ad essa coerenti, consequenziali e concreti avvenuti con fedeltà  alla loro anticipazione verbale,la Fedeltà di Dio agli uomini scelti per ricevere la parola e al popolo a cui appartengono.
Tale fedeltà alla parola pronunciata con il cuore, quindi con verità d’intenzione dalla Comunità scelta da Dio inizialmente e poi con Cristo da tutti coloro che la hanno ascoltata, non è stata sempre costante.
Da sempre come testimoniala Bibbia sia nell’Antico Testamento (VT) che nel Nuovo (NT) l’essere si è trovato, ascoltandola Parola di Dio, a percorrere una scelta ossia seguirla, testimoniarla essere fedele o ignorarla, scelte a cui corrispondo rispettivamente la via della Redenzione, della Salvezza, della Luce della Vita eterna, figli di Dio, se attuata con Fede, Speranza e Carità nella realtà, e la via delle tenebre, dell’abbandono dell’assenza di speranza.
Non è semplice essere coerenti con la Parola ascoltata e ricevuta da Dio Redentore, la sua presenza nella vita di chi l’ascolta può essere origine di fatica, sofferenza, solitudine nel testimoniarla come è richiesto dalla parola stessa e come inizialmente profeti e pochi altri esseri scelti hanno agito per essa rapiti dal suo fascino, dalla pienezza che essa rende concreta nel cuore, nel corpo, nella mente e nell’anima.
La Parolaè una Carità di Nostro Signore che alimenta costantemente se ascoltata e attuata,la Fedeela Speranzadell’essere fedele in ascolto.
L’uomo si rivolge a Dio come figlio con la parola espressa in preghiera.
Santo Agostino prega:
Sia la mia Casta delizia la tua Scrittura, o Signore; volgiti all’anima mia, mio Dio, luce dei ciechi e forza dei deboli; e insieme luce dei veggenti e forza dei forti, volgiti all’anima mia; e ascolta il grido che essa ti manda dal profondo.
Non senza uno scopo tu hai voluto che si scrivessero tante pagine piene d’arcani…
Ch’io ti esalti per tutte le verità che scoprirò nei tuoi libri, ch’io ascolti la voce della lode e mi abbeveri di te e mediti le meraviglie della tua Legge dal principio in cui creasti il cielo e la terra, fino al momento che regneremo con te eternamente nella città tua santa.  
Dio si è rivelato con la Parola agli esseri viventi, ovvero al suo popolo, al popolo di Israele.
Parla a uomini da Lui Scelti a cui è donata la missione di trasmettere la Sua Parola ovvero la Sua Volontà che si esplica anche con “Regole” (decalogo) cui la Comunità è bene che segua.
La Parola di Dio è seguita da un avvenimento, un fatto a essa coerente o legato, che manifestala Sua Volontà e Fedeltà verso il Suo popolo.
In Oriente la Parola è un annuncio a cui segue un fatto concreto come è evidente nella sacra scrittura che è la Parola di Dio Rivelata.
Abramo, come si può apprendere nell’Antico Testamento (VT), “Genesi 12” è chiamato dal Signore per seguire la Sua Volontà, obbedendo con fiducia e Fede a quanto il Signore gli comunica, affidandosi alla Parola stessa per divenire l’origine del Popolo d’Israele, popolo di Dio.
Alla Parola ci si può porre in ascolto o rifiuto. Geremia pur con molta fatica e difficoltà si fa “sedurre” dalla Parola di Dio e vive ubbidiente alla Parola stessa da Profeta per il Popolo di Israele che spesso non lo ascolta o lo deride “Geremia 20”.
Cristo, vita presente della Parola di Dio, del Padre, in questa terra con la sua predicazione pone gli uomini davanti alla scelta concreta di ascoltare o essere indifferenti alla Sua Parola che è la parola del Padre ovvero ciò che il Padre gli ha insegnato per aprire agli esseri (uomini)la Porta della via della Vita Eterna, con il suo ascolto.
La Parola di Cristo è sempre anch’essa seguita da avvenimenti reali, anche straordinari ovvero miracoli.
Con la parola Gesù comunica anche le regole di vita e salvezza che successivamente gli Apostoli e poi la Chiesa, Corpo di Cristo Vivente alla presenza dello Spirito Santo diffonderanno con testimonianza nella Comunità, come per esempio le buona vita tra moglie e marito per la solidità e salvezza della famiglia stessa, per esempio “1 Corinzi 7”.La Parola è divulgata agli uomini tutti da Cristo vivente anche con Parabole, il cui significato e valore è spiegato agli Apostoli per esempio “Matteo 13”, in cui è descritto come la Parola “seminata” e a secondo del “terreno”  in cui è, ossia i l cuore di chi la riceve, da diverso frutto.
Vittoria curò per la celebrazione quanto occorreva per la lettura e la Ammonizione e la prima lettura, dal Pentateuco, Genesi (12,1-3); Grazia si impegno per la Ammonizione alla seconda lettura ovvero dai libri storici e profetici, Geremia (20, 7-10) e la conseguente sua declamazione; Maria predispose la Ammonizione alla terza lettura dal Nuovo Testamento, Prima Lettera ai Corinzi (7,10-25); il Sacerdote conclamò dal Vangelo di Matteo il capitolo 13, versetti da 10 a 15.
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Il diciotto luglio 2023, martedì ore 20.30, la celebrazione si svolse in comunione con altre fraternità per la celebrazione della parola “Sposo“. Il riferimento per la preparazione fu il testo di M.-P. LACAN, trattato per questo tema biblico nel ”Vocabulaire de théologie biblique” a cura di Xavier Léon-Dufour. 
Il nome di sposo è uno di quelli che Dio dà a se stesso (Is 54, 5) e che esprime il suo *amore per la sua creatura.
A questo titolo se ne parla qui, nel Vocabolario, mentre la voce *matrimonio espone ciò che concerne il focolare umano.
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Il dodici settembre 2023, martedì ore 20.30, la celebrazione si svolse in comunione con altre fraternità per la celebrazione della parola “Terra“. Il riferimento per la preparazione fu il testo di G. BECQUET, trattato per questo tema biblico nel ”Vocabulaire de théologie biblique” a cura di Xavier Léon-Dufour. 
La vita dell’uomo dipende interamente dalle ricchezze che la terra nasconde e dalla fertilità del suo suolo; essa è la cornice provvidenziale della sua vita: « i cieli appartengono a Jahve, ma la terra egli l’ha data ai figli di Adamo » (Sal 115, 16). Tuttavia la terra non è Che la Cornice della vita dell’uomo: tra essa e lui C’è un legame intimo.
Egli è sorto da questa’adamah (Gen 2, 7; 3, 19; cfr. Is 64, 7; Ger 18, 6), da cui trae il nome:Adamo.
La simbologia cristiana pone la Terra uno dei quattro elementi, insieme all’aria, all’acqua e al fuoco, era già presente nel caos primordiale.
Essa era vuota e informe, quando le tenebre* coprivano l’abisso* (Gn 1, 2).
In seguito, dalla terra fu plasmato l’uomo, che nel suo nome (homo) conserva il ricordo delle proprie origini (humus).
L’uomo, nato dalla terra, vede in essa una madre.
Cadendo sulla terra, Giobbe dichiarò: “Ignudo sono uscito dal ventre di mia madre e ignudo tornerò laggiù” (Gb 1, 20-21).
La liturgia del mercoledì delle Ceneri ricorda all’uomo che è polvere e alla polvere ritornerà.
Opposta al cielo, la terra sembra ostacolare la sete di elevazione dell’uomo. L’abbassamento di Dio nella sua Incarnazione si è realizzato per soddisfare questa attesa:
il Figlio di Dio è sceso sulla terra per risalire, in seguito, al Cielo e portare con sé l’umanità redenta
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Il ventisei settembre 2023, martedì ore 20.30, la celebrazione si svolse in comunione con altre fraternità per la celebrazione della parola “Alleanza“. Il riferimento per la preparazione fu il testo di I. GIBLET e P. GRELOT, trattato per questo tema biblico nel ”Vocabulaire de théologie biblique” a cura di Xavier Léon-Dufour.
Dio vuole condurre gli uomini ad una vita di comunione con lui.
Questa è l’idea, fondamentale per la dottrina della salvezza, che il tema dell’alleanza esprime.
Nel Vecchio o Antico Testamento esso, il tema, domina tutto il pensiero religioso, ma vediamo che si approfondisce con il tempo.
Nel Nuovo Testamento acquista una pienezza senza pari, perché ormai ha come contenuto tutto il mistero di Gesù Cristo
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*CELEBRAZIONE DELLA PAROLA del giorno lunedì trenta ottobre 2023 fu Deserto con la AMMONIZIONE AMBIENTALE condivisa nella preparazione tra Silvia, Vittoria e  Giancarlo, a cui è seguito il Canto di ingresso e la successiva  AMMONIZIONE PRIMA LETTURA, nonché la PRIMA LETTURA dal Pentateuco, Genesi (2, 5 e seguenti), quindi la esecuzione del così detto primo canto scelto.
La espose la successiva AMMONIZIONE SECONDA LETTURA e la SECONDA LETTURA (dai Libri Storici, Poetici, Sapienziali, Profetici) Isaia (6, 11 e seguenti conclusa dalla scelta ed esecuzione del Canto). Un altro partecipante espose la AMMONIZIONE TERZA LETTURA e la TERZA LETTURA (dal N.T. – Atti, Lettere S. Paolo Lettere Cattoliche, Apocalisse) 1 Corinzi (10,11 e seguenti) conclusa sempre dal CantoSi preparò la AMMONIZIONE AL VANGELO ovvero il Vangelo secondo Matteo (14, 13-21 ed eventualmente seguenti) letto dal Sacerdote e seguito dalle così dette RISONANZE, dalla OMELIA, dalle PREGHIERE spontanee, dalla recita del Padre Nostro e dalla Benedizione. Si condivise il canto finale.
Un breve pensiero riguardo la parola celebrata:
Deserto:Etimologicamente dal latino “deserere”, abbandonare, è comunemente riferimento concettuale che identifica un luogo con particolari caratteristiche ambientali, ovvero essenziali, scarne, minime alla possibile esistenza della vita umana, animale e vegetale se inteso quale sostantivo, e se aggettivo una condizione di un luogo, di una condizione o di un tempo.
Nella Sacra Scrittura è in origine il luogo che Dio non ha “benedetto”, quindi privo e abbandonato dalla Divinità, è un luogo paragonabile al giardino del Paradiso prima che fosse bagnato dall’acqua della pioggia e potesse così divenire florido con una trasformazione a cui anche l’uomo partecipa con il suo lavoro e quindi alla “Costruzione del Creato”, come è possibile leggere nella parole della Genesi nel suo secondo capitolo dal versetto numero cinque.
Questo luogo, il deserto, diviene successivamente come si può leggere nella Sacra Scrittura “IL Luogo” ove il popolo di Israele nasce come tale e transita per lunghi quaranta anni per giungere convertito alla terra promessa, la terra ove scorre “latte e miele”.
La terra “abbandonata”, essenziale nelle sue qualità suggerisce all’uomo che innatamente nel suo intimo  necessita per vivere coscientemente e costantemente nella Fede di una Compagnia, ovvero essere popolo in “Carovana”, l’abbandono del superfluo, e di se stesso, per seguire nella serenità di tale stato la “volontà di Dio” osservando nella semplicità ed elementarità della realtà priva del superfluo i “segni” che Dio a lui dona per la Conversione e Redenzione sin dalla sua vita terrena con una condotta metodica nell’abbandono alla umiltà intesa come giusta proporzione nell’uso e nel temporaneo possesso dei beni ricevuti, tangibili materialmente con i sensi, e visibili con la Fede, la Speranza e la Carità che da esse nasce.
Nell’abbandono alla essenzialità e nei luoghi “deserti”, minimali, si ha più acuta percezione e possibilità di vedere chi vi è, chi esiste e si ha il dono di incontrare concretamente, liberi da sovrastrutture “convenzionali” che il mondo crea per cercare unità nella omologazione “pattuata come “legge” o accordo temporale dettato dall’uomo, dimentico della Legge donata da Dio per una vita nella felicità e gioia della concreta Fede, Speranza e Carità vissute e operate nella loro verità.
L’uomo intimamente, anche non esternandolo, cerca l’essenzialità con se stesso per comprendere nella possibile paura che può sorgere nell’essere se stessi, e quindi soli, ma pronti a conoscere nella verità chi il Signore ti dona di incontrare, permettendoti la “salvezza” concreta quotidiana che può nascere da un incontro, rammentando sempre che Dio salva l’uomo attraverso l’uomo.
Dio si è fatto uomo per salvare l’uomo.
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Il diciassette ottobre 2023, martedì ore 20.30, la celebrazione si svolse in comunione con altre fraternità e nuovi partecipati per la celebrazione della parola “Albero“. Il riferimento per la preparazione fu il testo di P.E’. BONNARD e P. GRELOT, trattato per questo tema biblico nel ”Vocabulaire de théologie biblique” a cura di Xavier Léon-Dufour. 
Agli occhi dell’uomo l’albero è il segno tangibile della forza vitale che il creatore ha effuso nella natura (cfr. Gen 1, 11 s). Ad ogni primavera esso ne annuncia la rinascita (Mi 24,32). Tagliato, rigermoglia (Giob 14, 7 ss).
Nel deserto arido indica i luoghi dove 1′*acqua permette la vita (Es 15,27; Is 41, 19). Nutre l’uomo con i suoi frutti (cfr. Dan 4,9). Ce n’è a sufficienza perché si possa paragonare ad un albero verdeggiante sia l’uomo giusto che Dio benedice (Sal 1, 3; Ger 17, 7 s), sia il popolo che egli colma di favori (Os 14,6 s). È vero che esistono alberi búóni ed alberi cattivi, che si riconoscono dai loro*frutti: i cattivi non meritano che di essere tagliati e gettati nel fuoco; e così anche gli uomini, al  momento del *giudizio di Dio (Mi 7,16-20 par.; cfr. 3, 10 par.; Lc 23,31). Partendo da questo significato generale il simbolismo dell’albero si sviluppa nella Bibbia in tre direzioni. 1. L’albero di vita. – Riprendendo un simbolo corrente della mitologia mesopotamica, la Genesi colloca  nel  *paradiso  primitivo  un  albero di vita, il cui frutto comunica l’immortalità (Gen 2,9; 3,22).
2. L’albero del regno di Dio. – Le mitologie orientali conoscevano pure il simbolo dell’albero cosmico, rappresentazione figurata dell’universo.
3. L’albero della croce. – L’albero può diventare segno di *maledizione quando è usato come patibolo per i condannati a morte (Gen 40,19; Gíos 8,29; 10,26; Est 2,23; 5, 14): colui che ne pende contamina la terra santa, perché è una maledizione di Dio (Deus 21, 22 s). Ora Gesù ha voluto prendere su di sé quella maledizione (Gal 3,13).
AMMONIZIONE AMBIENTALE la esternò Giancarlo, la AMMONIZIONE PRIMA LETTURA la espose Enzo a cui seguì la PRIMA LETTURA (Pentateuco)  Genesi (1, 11 e seguenti). Giovanna predispose e comunicò la AMMONIZIONE SECONDA LETTURA e curò la SECONDA LETTURA (dai Libri Storici, Poetici, Sapienziali, Profetici), Ezechiele (47, 9-12); Silvia partecipò esponendo la AMMONIZIONE TERZA LETTURA, la TERZA LETTURA (dal N.T.- Atti, Lettere S. Paolo Lettere Cattoliche, Apocalisse) 1 Pietro (2,21-25), e la AMMONIZIONE AL VANGELO.
Il brano del Vangelo letto dal Sacerdote, Don Christian durante la celebrazione fu Matteo (13, 31 eventualmente anche antecedenti da 24).
La parola albero nella lingua italiana si presuppone abbia origine dall’antico lemma latino “albărus” derivato etimologicamente da “albus”, «bianco» con riferimento nell’uso antico al “gattice” ossia al pioppo bianco.
L’albero è come immagine segno concreto della “forza vitale” che continuamente rinasce ogni anno, nella sua stagione, la primavera, tempo di ragionevole speranza, con assonanza forte nei luoghi aridi ed essenziali, come il deserto, luogo in cui la sua vita segna ed evidenzia la presenza di acqua, fonte di vita, che ne permette l’esistenza sia della pianta stessa che di chi la ammira.
Nell’originaria simbologia l’albero è vita, e mitologicamente nel “primitivo paradiso” descritto nella Genesi, è “albero di vita” il cui frutto “comunica la immortalità”.
Nei testi del Nuovo testamento, nell’Apocalisse (2, 7), Cristo promette a coloro che gli rimarranno fedeli che mangeranno dell’albero di vita che è nel paradiso di Dio.
L’albero è anche, “quando è Croce” e usato come strumento di sofferenza e morte, segno di maledizione di Dio, del Creatore, di cui Cristo si è assunto, nel suo legno tramite il suo corpo, i nostri peccati, per la nostra salvezza, divenendo così il “legno che salva”, aprendo la via divenendo Cristo stesso in Croce la Porta di salvezza ove chi ha Fede pronunciando SI all’invito del Signore vi passa per giungere al Paradiso “ritrovato” ove è florido l’Albero della Vita.
*
Il ventiquattro ottobre 2023, martedì ore 20.30, la celebrazione si svolse nel Complesso Parrocchiale di San Giuseppe al Trionfale, in comunione con altre fraternità, per la celebrazione della parola “Acqua“. Il riferimento per la preparazione fu il testo di M. BOISMARD, trattato per questo tema biblico nel ”Vocabulaire de théologie biblique” a cura di Xavier Léon-Dufour.
L’acqua è anzitutto sorgente e potenza di vita: senza di essa la terra non è che un *deserto arido, paese della fame e della sete, dove uomini e animali sono votati alla morte.
Ma ci sono anche acque di morte: l’inondazione
devastatrice che sconvolge la terra e inghiotte i viventi. Infine il culto,
nelle abluzioni cultuali, in cui è trasposto un uso della vita domestica,
*purifica le persone e le cose dalle immondezze contratte nel corso degli incontri quotidiani. Così l’acqua, di volta in volta vivificatrice o terribile, sempre  purificatrice,  è  intimamente  mescolata  alla  vita  umana  ed  alla
storia del popolo della alleanza.
Dio, padrone dell’universo, dispensa l’acqua a suo volere, e quindi tiene in suo  potere  i  destini  dell’uomo.  Gli  Israeliti,  conservando  la rappresentazione dell’antica cosmogonia babilonese, dividono le acque in due masse distinte. Le « acque superiori » sono trattenute dal firmamento, concepito come una superficie solida (Gen 1, 7; Sal 148, 4; Dan 3, 60; cfr. Apoc 4, 6). Delle cateratte, aprendosi, permettono loro di cadere sulla terra sotto forma di pioggia (Gen 7, 11; 8,2; Is 24,18; Mal 3,10), o di rugiada che si posa la notte sulle erbe (Giob 29, 19; Cant 5, 2; Es 16, 13). Quanto alle  fonti  ed  ai  fiumi,  essi  non  provengono  dalla  pioggia,  ma  da un’immensa riserva d’acqua su cui poggia la terra: le « acque inferiori », l’abisso (Gen 7,11; Deut 8,7; 33,13; Ez 31,4).
Dio, che ha istituito quest’ordine, è il padrone delle acque. Egli le trattiene o  le  rilascia  a  piacer  suo,  sia  quelle  superiori  sia  quelle  inferiori, provocando in tal modo la siccità o l’inondazione (Giob 12, 15). « Egli spande la pioggia sulla terra » (Giob 5, 10; Sal 104,.10-.16), quella pioggia che viene da Dio é non dagli uomini (Mi 5,6; cfr. Giob 38,22-28). Egli le ha « imposto delle leggi » (Giob 28,26). Veglia affinché essa cada rego- larmente, « a suo tempo » (Lev 26, 4; Deut 28,12): se essa venisse troppo tardi (in gen7).
Nell’Antico Testamento sono presenti parole riguardanti:
Le acque terrificanti; le acque purificatrici;
Nella Storia del Popolo di Dio, Dio, accordando o rifiutando le acque secondo la sua volontà, non agisce tuttavia in modo arbitrario, ma secondo il comportamento del suo popolo. A seconda che il popolo rimane fedele o no all’alleanza, Dio accorda o rifiuta le acque. Se gli Israeliti vivono secondo la sua legge, * obbedendo alla sua voce, Dio apre i cieli per dare la pioggia a suo tempo (Lev 26, 3  ss. 10; Deut 28, 1. 12).
Le acque sono anche escatologiche; non aver perpetrato il male (Sal 26, 6; cfr. Mt 27, 24). Il peccatore che abbandona i suoi peccati e si converte è come un uomo immondo che si lava (Is 1,16); così pure Dio «lava» il peccatore a cui *perdona le sue colpe (Sal 51, 4).
Con il diluvio Dio ha «purificato» la terra sterminando gli empi (cfr. 1 Piet 3, 20 s).
Nel Nuovo Testamento le acque sono vivificatrici. – Cristo è venuto a portare agli uomini le acque vivificatrici promesse dai profeti. Egli è la *roccia che, percossa (cfr. Gv 19, 34), lascia scorrere dal suo fianco le acque capaci di dissetare il popolo in cammino verso la vera terra promessa (1 Cor 10, 4; Gv 7, 38; cfr. Es 17,1-7).
Egli è parimenti il *tempio (cfr. Gv 2,19 ss) donde esce il fiume che va a bagnare ed a vivificare la nuova *Gerusalemme (Gv 7, 37 s; Apoc 22, 1.17; Ez 47,1-12), nuovo *paradiso. Queste acque non sono altro che lo*Spirito Santo, potenza vivificatrice del Dio creatore (Gv 7, 39). In Gv 4,10-14 tuttavia l’acqua sembra piuttosto simboleggiare la dottrina vivificatrice portata da Cristosapienza (cfr. 4,26).
Ad ogni modo, al momento della consumazione di tutte le cose, l’acqua viva sarà il simbolo della felicità senza fine degli eletti, condotti dall’*agnello verso i fertili pascoli (Apoc 7,17; 21, 6; cfr.ls 25,8; 49, 10).
Le acque battesimali. – Il simbolismo dell’acqua trova il suo pieno significato nel battesimo  cristiano.  All’origine  l’acqua  fu  usata  nel battesimo per la sua virtù purificatrice. Giovanni battezza in acqua « per la remissione dei peccati » (Mt 3, 11 par.), servendosi a tal fine dell’acqua del Giordano, che un tempo aveva purificato Naaman dalla lebbra (2 Re 5, 10-14). Tuttavia il battesimo effettua la purificazione non del corpo ma dell’anima, della « coscienza » (1 Piet 3 21). E’ un bagno che ci lava dai nostri -peccati (1 Cor 6, 11; Ef 26; Ebr 10, 22; Atti 22, 16), applicandoci la virtù redentrice del *sangue di Cristo (Ebr 9,13 s; Apoc 7, 14; 22, 14).
A questo simbolismo fondamentale dell’acqua battesimale Paolo ne aggiunge un altro: immersione ed emersione del neofita, che simboleggiano la sua sepoltura con Cristo e la sua risurrezione spirituale (Rom 6, 3-11). Forse Paolo vede qui, nell’acqua battesimale, una rappresentazione del mare, abitacolo delle potenze malefiche e simbolo di morte, vinto da Cristo, come un tempo il Mar Rosso da Jahve (1 Coi 10, 1 ss; cfr. Is 51,10).
Infine, comunicandoci lo Spirito di Dio, il battesimo è anche principio di nuova *vita. È possibile che Cristo abbia voluto farvi allusione effettuando parecchie guarigioni per mezzo dell’acqua (Gv 9, 6 s; cfr. 5, 1-8). Il battesimo è concepito allora come un «bagno di rigenerazione e di rinnovamento dello Spirito Santo» (Tic 3, 5; cfr. Gv 3, 5).
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Sempre presso la Parrocchia di San Giuseppe al Trionfale
CELEBRAZIONE DELLA PAROLA CROCE, martedì quattordici novembre 2023
AMMONIZIONE AMBIENTALE (Giancarlo)
Canto di ingresso: Secondo scelta del Cantore
AMMONIZIONE PRIMA LETTURA (Lourdes)
PRIMA LETTURA (Pentateuco) Deuteronomio (21, 22 e seguenti)(Lourdes)
AMMONIZIONE SECONDA LETTURA (Angela)
SECONDA LETTURA (dai Libri Storici, Poetici, Sapienziali, Profetici)Numeri (21, 4-9)(Angela)
AMMONIZIONE TERZA LETTURA (Vittoria)
TERZA LETTURA (dal N.T. – Atti, Lettere S. Paolo Lettere Cattoliche, Apocalisse)
1 Corinzi (2, 1-4 e seguenti)(Vittoria)
AMMONIZIONE AL VANGELO ( )
Vangelo Matteo (23, 34 -38 eventualmente anche antecedenti da 27)(Sacerdote)
Il riferimento per la preparazione fu il testo di J-AUDUSSEAU e X LEON-DUFOUR,
trattato per questo tema biblico nel “Vocabulaire de théologie biblique” a cura di Xavier Léon-Dufour.
Gesù è morto crocifisso. La croce, che fu lo strumento della redenzione, è divenuta, assieme alla *morte, alla *sofferenza, al *sangue, uno dei termini essenziali che permettono di evocare la nostra *salvezza. Essa non è più una ignominia, ma un’esigenza e un titolo di gloria, in primo luogo per Cristo, poi per i cristiani.
Un breve pensiero:
È impossibile vivere senza speranza, ma è peggior cosa vivere con una speranza infondata, ovvero, in libera traduzione:
Da due pericoli bisogna guardarsi: dalla disperazione senza scampo e dalla speranza senza fondamento”, Sant’Agostino Vescovo d’Ippona.
La Croce di Nostro Signore, e il Suo Sacrificio in essa, è la fondazione eterna (inamovibile) della Nostra Speranza, che incardinata e nata da essa ci conduce per tutte le direzioni e orientamenti della nostra vita nella Fede, capaci secondo i nostro limiti di muovere i nostri passi e agire con Carità elementare per alimentarla con la nostra opera come il Signore desidera.
La fondazione della Speranza nella nostra vita terrena è la Croce che il Signore ci dona invitandoci al Banchetto Nuziale con e nella Chiesa, il corpo di Cristo vivente, esortandoci alla perseverante sua partecipazione, condividendo il tempo donatoci per vivere, nella Liturgia Eucaristica, nella Liturgia della Sua Parola e nella concreta partecipazione al Creato con la nostra minima opera, così come ne siamo in grado.
San Paolo nella prima lettera ai Corinzi (2,1-5) rivela loro che le sue parole “educative” nascono con origine dallo Spirito Santo, non dalla sapienza umana, e ne sono sua manifestazione.
Fondare la propria vita solo sulla sapienza umana è una speranza di camino quotidiano, anche se orientato da una speranza di Pace, in senso biblico, senza fondamento.
La sola croce simbolo della disperazione e strumento di sofferenza è trasformato da Cristo, con il Suo sacrificio per noi, in concreta simbolica e reale presenza di Cristo e perenne possibilità con essa di alimentare il dono della Fede ricevuto, quotidianamente, orientando la nostra vita in un cammino “in compagnia” di una concreta speranza che scaturisce dalla Fede e si concretizza nelle minime opere di carità che quotidianamente siamo chiamati a partecipare.
Nel capitolo 21 del Deuteronomio (VT) possiamo comprendere come la morte “appesi a un albero (legno)”, assimilabile alla croce, è  la presenza della maledizione di Dio che con la sofferenza e presenza di Cristo diviene via di salvezza e sua perenne presenza:
22Se un uomo avrà commesso un delitto degno di morte e tu l’avrai messo a morte e appeso a un albero, 23il suo cadavere non dovrà rimanere tutta la notte sull’albero, ma lo seppellirai lo stesso giorno, perché l’appeso è una maledizione di Dio e tu non contaminerai il paese che il Signore, tuo Dio, ti dà in eredità”. Nei momenti di smarrimento individuali e della Comunità, quando ci si allontana spinti dalla disperazione dalla Fede in Dio, la preghiera di chi è perseverante nella Fede e quindi nel testimoniare la continua e perenne presenza della Croce di Cristo, aiuta e accompagna la salvezza dei più deboli se credono e dedicano per lo meno uno sguardo alla Croce nelle sue varie forme, visibili o meno evidenti. Come narrato nel Capitolo 21 del libro dei Numeri (VT): “8Il Signore disse a Mosè: “Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque sarà stato morso e lo guarderà, resterà in vita”. 9Mosè allora fece un serpente di bronzo e lo mise sopra l’asta; quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di bronzo, restava in vita.” Ovvero anche nel dolore rimanere nella Fede che dona la Speranza.
L’esortazione a vivere non credendo solamente nella sapienza ritenuta propria, ma a avere coscienza dei propri limiti e riferirsi alla Salvifica Croce di Cristo è nuovamente evidente nella prima lettera a Corinzi (NT) di Paolo che annuncia coscientemente “il mistero di Dio con l’eccellenza della parola o della sapienza”. E disse (scrisse):”2Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso3Mi presentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione4La mia parola e la mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, 5perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio”.
Consapevoli che la croce sarà presente ed è presente nel percorso della nostra vita, e che ognuno di noi per vivere la Fede deve prendere coscienza e “carico” della Croce che incontra vivendo, si può leggere e avvicinarsi alle parole del capitolo 23 del Vangelo di Matteo (NT) per avere testimonianza di ciò dalle seguenti parole (conoscere ed essere coscienti che il Signore disse):
34Perciò ecco, io mando a voi profeti, sapienti e scribi: di questi, alcuni li ucciderete e crocifiggerete, altri li flagellerete nelle vostre sinagoghe e li perseguiterete di città in città; 35perché ricada su di voi tutto il sangue innocente versato sulla terra, dal sangue di Abele il giusto fino al sangue di Zaccaria, figlio di Barachia, che avete ucciso tra il santuario e l’altare. 36In verità io vi dico: tutte queste cose ricadranno su questa generazione.
37Gerusalemme, Gerusalemme, tu che uccidi i profeti e lapidi quelli che sono stati mandati a te, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto! 38Ecco, la vostra casa è lasciata a voi deserta! 39Vi dico infatti che non mi vedrete più, fino a quando non direte:
Benedetto colui che viene nel nome del Signore!”.
- Il corpo di un uomo defunto”sospeso a un legnoda terra” diviene con la “Croce lignea di Cristo” da maledizione Divina (VT), la Porta della Salvezza dell’uomo stesso, fondamento della certa Speranza, compagna di vita nella Fede.
La assunzione per ognuno di noi della propria Croce, seguendo la Volontà del Creatore, trasformata la apparente maledizione divina in concreta vivifica coscienza della Realtà ove viviamo che permette la vita nella speranza in essa fondata saldamente per sempre.
- La Croce voluta, creata e costruita dall’uomo per l’uomo è maledizione di Dio, donata da Dio all’uomo è via di redenzione e salvezza
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Il ventuno novembre 2023, martedì ore 20.30, la celebrazione si svolse anche in questa occasione nel Complesso Parrocchiale di San Giuseppe al Trionfale, in comunione con altre fraternità, per la celebrazione della parola “Vittoria“.
Il riferimento per la preparazione fu il testo di M. BONNARD, trattato per questo tema biblico nel ”Vocabulaire de théologie biblique” a cura di Xavier Léon-Dufour.
Come di consuetudine la celebrazione si svolse con la proclamazione della  AMMONIZIONE AMBIENTALE, la AMMONIZIONE PRIMA LETTURA e a seguire la PRIMA LETTURA individuata durante la preparazione nel (Pentateuco)  Genesi (14,17 e seguenti) a cui successe la  AMMONIZIONE SECONDA LETTURA e la SECONDA LETTURA (dai Libri Storici, Poetici, Sapienziali, Profetici) Giuditta (16, 13-15) La AMMONIZIONE TERZA LETTURA e la TERZA LETTURA tratta (dal N.T. – Atti, Lettere S. Paolo Lettere Cattoliche, Apocalisse) e 1 Corinzi (15, 15-19, 24 38)Seguì la AMMONIZIONE AL VANGELO e la lettura del Giovanni(16, 33 eventualmente antecedenti da 25)A seguire le RISONANZE e l’OMELIA
In conclusione le PREGHIERE spontanee e recita del Padre Nostro, Benedizione
Dal testo consultato e di riferimento sopra indicato:
La vittoria suppone lotta e rischio di sconfitta. E di fatto su una sconfitta si apre nella Bibbia il dramma dell’umanità, vinta da *Satana, dal peccato, dalla *morte. Ma già in questa sconfitta si delinea la promessa di una vittoria futura sul male (Gen 3, 15). La storia della *salvezza è quella del cammino verso la vittoria definitiva.
Antico Testamento:
Il popolo di Dio fa l’esperienza della vittoria e della sconfitta anzitutto nella sua storia temporale. Ma la sconfitta ha Come risultato di indirizzare finalmente la sua fede verso l’attesa di un’altra vittoria, realizzata su un altro piano.
Nuovo Testamento:
Vittoria di Cristo. – Con Cristo il piano delle lotte temporali è definitivamente superato. La lotta reale che egli conduce è di altro ordine. Già nella sua vita pubblica egli si dichiara Come il «più forte» Che trionfa del forte (Lc 11, 14-22), cioè di *Satana, principe di questo mondo. Alla vigilia della morte, egli ammonisce i suoi di non temere il *mondo malvagio che li perseguiterà col suo odio: «Abbiate fiducia! Io ho vinto il mondo» (Gv 16,33).
Questa vittoria riprende i tratti paradossali di quella del servo di Jahve, Che realizza alla lettera.
Ma si afferma come una realtà concreta e definitiva con la risurrezione.
Qui Cristo ha trionfato del peccato e della morte; ha trascinato le potenze vinte dietro il suo carro di vincitore (Col 2, 15).
Meglio che gli antichi re di Israele, egli ha vinto, questo leone di Giuda (Apoc 5, 5), questo agnello immolato (5, 12), divenuto signore della storia umana.
E la sua vittoria si manifesterà infine con splendore quand’egli prevarrà su tutte le forze avverse (17, 14; 19,11- 21) e vincerà per sempre la morte, ultimo nemico (1 Cor 15, 24 ss). La croce, sconfitta apparente, ha assicurato la vittoria del santo sul peccato, del vivente sulla morte.
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Il nove gennaio 2024, martedì ore 20.30, la celebrazione si svolse come precedentemente stabilito nel Complesso Parrocchiale di San Giuseppe al Trionfale, in comunione con altre fraternità, per la celebrazione della parola “Idoli”.
Il riferimento per la preparazione fu il testo di C- WIÉNER, trattato per questo tema biblico nel “Vocabulaire de théologie biblique” a cura di Xavier Léon-Dufour, che al seguito si trascrive:
I. DISTACCO DAGLI IDOLI
In un Certo senso la Bibbia è la storia del popolo di Dio che si stacca dagli idoli. Un giorno Jahve ha «preso» Abramo, che «serviva altri dèi» (Gios24, 2 s; Giudít 5,6ss). Ma questa rottura, pur essendo radicale, non è fatta una volta per sempre:
i suoi discendenti la dovranno sempre rifare (Gen 35, 2 ss; Gios 24, 14-23); devono rinnovare continuamente la loro opzione e *seguire l’Unico, invece di «andar dietro alla vanità» (Ger 2, 2-5).
Di fatto l’idolatria può insinuarsi anche all’interno del jahvismo. Già nel decalogo Israele viene a sapere che non deve fabbricare *immagini (Es 20,3 ss; Deut 5, 7 ss), perché l’*uomo solo è l’immagine autentica di Dio (Gen 1, 26 s).
Ad esempio, il vitello che egli scolpisce per simboleggiare la *forza divina (Es 32; 1 Re 12, 28; cfr. Giud 17 – 18), Con l’*ira divina gli attirerà l’ironia sferzante dei profeti (Os 8, 5; 13, 2). Sia Che si tratti di falsi dèi oppure della sua propria immagine, Dio punisce l’infedeltà (Deut 13); abbandona Coloro che lo abbandonano o lo mettono in Caricatura, in balia delle* calamità nazionali (Giud 2, 11-15;   2 Re 17,7-12; Ger32,28-35; Ez 1; 20; 23).
Quando l’esilio viene a Confermare tragicamente questa visione profetica della storia, il popolo rinsavisce, senza che tuttavia spariscano idolatri (Sal 31,7) e negatori di Dio (Sal 10, 4. 11 ss).     
Infine, al tempo dei Maccabei, servire gli idoli (1 Mac1,43) significa   aderire ad un umanesimo pagano  incompatibile con  la  *fede  che  Jahve  si  aspetta  dai  suoi:  bisogna scegliere tra gli idoli ed il *martirio (2 Mac 6,18-7,42; cfr. Dan 3).
Il NT traccia lo stesso itinerario.
Strappati agli idoli per rivolgersi al vero Dio  (1  Tess  1,  9),  i  fedeli  sono  continuamente  tentati  di  ricadere  nel paganesimo Che impregna la vita corrente (cfr. 1 Cor 10, 25-30). Bisogna fuggire l’idolatria per entrare nel regno (1 Cor 10, 14; 2 Cor 6,16; Gal 5,20;1 Gv 5,21; Apoc 21, 8; 22,15).
La Chiesa, nella quale continua la lotta spietata tra Gesù e il *mondo, vive una storia segnata dalla tentazione di *adorare «l’immagine della *bestia» (Apoc 13, 14; 16, 2), di accettare che sia innalzato nel tempio 1′«idolo devastatore» (MI 24, 15;cfr. Dan 9,27).
II. SIGNIFICATO DELLA IDOLATRIA
Israele  non  si  è  accontentato  di  cercar  di  rispondere Con  fedeltà  alla Chiamata di Dio, ma ha riflettuto sulla natura degli «idoli muti» (1 Cor 12, 2) Che lo sollecitano, e progressivamente esprimerà con un linguaggio esatto il nulla degli idoli.
1. Gli «altri dèi». - Con questa espressione Corrente fino all’epoca di Geremia, Israele – sembra ammettere l’esistenza di altri dèi oltre Jahve. Non si tratta di sopravvivenze equivoche di altre religioni, mescolate al jahvismo popolare, quali gli «idoli domestici » (terafim), senza dubbio riservati alle donne (Gen 31, 19-35; 1 Sani 19, 13-16) od il serpente Nekhushtàn (2 Re 18, 4); si tratta propriamente dei Baal cananei, Che Israele incontra quando si stabilisce nella terra promessa.
Ed allora è una lotta a morte Contro i Baal:
Gedeone ebbe l’onore imperituro di aver sostituito l’*altare di Jahve all’altare dedicato da suo padre a Baal (Giud 6, 2532). Se quindi Israele parla di «altri dèi» è soltanto per qualificare in tal modo le altre Credenze (cfr. 2 Re 5, 17), tuttavia non dubita che Jahve sia il suo Dio unico (cfr. Es 20, 3-6; Deut 4, 35).
2. Il nulla degli idoli. – La lottà a morte contro gli idoli Continua, ma ora nello spirito del fedele di Jahve, affinché riconosca che «gli idoli non sono nulla» (Sal 81, 10; 1 Cron  16, 26).
Elia, con pericolo della vita, si burla degli dèi che non possono consumare l’olocausto (1 Re 18, 18-40); gli esiliati comprendono chiaramente Che gli idoli non sanno nulla, perché sono incapaci di annunziare il futuro (Is 48, 5); e neppure salvano (45, 20 ss). «Prima di me non fu formato alcun dio, e non ce ne sarà alcuno dopo di me» (43, 10).
Così stando le cose, vuol dire che essi non esistono veramente, sono dei prodotti  fabbricati  dall’uomo.  Quando  i  profeti  lanciano  le  loro  satire contro gli idoli di legno, di pietra o d’oro (Am 5,26; Os 8,4-6; Ger 10, 3 ss;  Is 41, 6 s; 44, 9-20), non denunciano un’espressione figurativa, ma un pervertimento: invece di adorare il suo creatore, la creatura adora la propria creazione.
La sapienza mette in chiaro le Conseguenze di questa idolatria (Sap 13 -14): è un frutto di morte, perché significa l’abbandono di Colui che è la vita.
Nello stesso tempo offre al credente una spiegazione della genesi di questo pervertimento: si sono divinizzati i defunti o delle persone famose (14, 12-21), oppure si sono adorate forze naturali, destinate invece a condurre l’uomo verso il loro autore (13,1-10).
Paolo Continua questa Critica dell’idolatria, associandola al Culto  dei*demoni: sacrificare agli idoli significa sacrificare ai demoni (1 Cor 10, 20 s). Infine, in una requisitoria terribile, denunzia il *peccato universale degli  uomini  che,  invece  di  riconoscere  il  creatore  attraverso  la  sua creazione,  hanno  barattato  la  gloria  del  Dio  incorruttibile  con  una rappresentazione delle sue Creature; di qui il loro decadimento in tutti i campi (Rom 1, 18-32).
3.   L’idolatria,   tentazione   permanente.   -   La   idolatria   non   è   un atteggiamento superato una volta per sempre, ma rinasce sotto forme diverse: non appena si cessa di * servire il Signore, si diventa *schiavi di ogni sorta di padroni: denaro (Mt 6, 24 par.), vino (Tito 2, 3), *cupidigia, che è volontà di dominare il prossimo (Col 3, 5; Ef 5, 5), potenza politica (Apoc 13, 8), piacere, invidia ed odio (Rom 6, 19; Tito 3, 3), peccato (Rom6, 6), persino osservanza materiale della legge (Gal 4, 8 s). Tutto Ciò porta alla morte (Fil 3, 19), mentre il frutto dello Spirito è vita (Rom 6, 21 s). Dietro questi vizi, Che sono idolatria, si nasconde un disconoscimento del Dio unico Che, solo, merita la nostra *fiducia.
Nota, Requisitoria: Rimprovero o denuncia circostanziati, fatti per rilevare e far cessare gravi mancanze, colpe o difetti: fare una violenta r. contro il malcostume imperante; il rappresentante dell’opposizione, dopo un’aspra r. contro l’operato del governo, ne ha chiesto le dimissioni.
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Il sedici gennaio 2024, martedì ore 20.30, la celebrazione si svolse come di consuetudine  nel Complesso Parrocchiale di San Giuseppe al Trionfale, in comunione con altre fraternità, per la celebrazione della parola “Notte“.
Il riferimento per la preparazione fu il testo di R- FEUILLET e X- LEON-DUFOUR,
trattato per questo tema biblico nel ”Vocabulaire de théologie biblique” a cura di Xavier Léon-Dufour.
Come di consuetudine la celebrazione si svolse con la proclamazione della  AMMONIZIONE AMBIENTALE (Silvia), la AMMONIZIONE PRIMA LETTURA (Giancarlo) e a seguire la PRIMA LETTURA (Giancarlo) individuata durante la preparazione nel (Pentateuco) Genesi (1,1-19 e seguenti) a cui successe la  AMMONIZIONE SECONDA LETTURA (Silvia)  e la SECONDA LETTURA (Silvia) (dai Libri Storici, Poetici, Sapienziali, Profetici)Salmo 104 (104, 19-23)..
La AMMONIZIONE TERZA LETTURA (Vittoria) e la TERZA LETTURA (Vittoria) tratta (dal N.T. – Atti, Lettere S. Paolo Lettere Cattoliche, Apocalisse) 1 Corinzi (11, 23-26).
Seguì la AMMONIZIONE AL VANGELO (Vittoria) e la lettura del VANGELO (Sacerdote) Giovanni (9,1-7 eventualmente successivi.
A seguire le RISONANZE e l’OMELIA
In conclusione le PREGHIERE spontanee e recita del Padre Nostro, Benedizione
Dal testo consultato e di riferimento sopra indicato:
L’evento della notte pasquale è il centro del simbolismo della notte nella Scrittura; certamente vi si ritrova pure l’esperienza umana fondamentale che è Comune alla maggior parte delle religioni: la notte è una realtà ambivalente, temibile come la morte e indispensabile come il tempo della nascita dei mondi. Quando sparisce la *luce del giorno, allora compaiono gli animali nocivi (Sal 104, 20), la peste tenebrosa (Sal 91, 6), gli uomini che odiano la luce, adulteri, ladri od assassini (Giob 24, 13-17), e perciò bisogna pregare colui che creò la notte (Gen 1, 5) di proteggere gli uomini contro i terrori notturni (Sal 91, 5). Bisogna anche pregarlo quando sopraggiunge  la  notte  (Sal  134,  2),  quella  notte  che,  Come  il  giorno, celebra la sua lode (Sal 19, 3). D’altronde la notte, Che è temibile perché il giorno vi muore, deve a sua volta lasciare il posto al giorno che viene: perciò il fedele, che fa affidamento sul suo Signore, è come la scolta che spia l’aurora (Sal 30, 6). Tuttavia questi simbolismi validi, tenebre mortali e speranze del giorno, non trovano il loro pieno significato se non hanno radici in una esperienza unica: la notte è il tempo in cui si svolse in modo privilegiato la storia della salvezza.
Un breve pensiero:
La “notte, nacque quando fu luce”, prima vi erano le “tenebre che non avevano presenza di nessuna sorgente di “pacata luce notturna”, come gli astri del firmamento e la Luna che, con il loro chiarore, “rischiarano” in varie modalità il Creato nella notte, in assenza della Luce del Sole; entrambe opere e dono “unite” del Creatore per e nel loro essere.
Nel primo capitolo della Genesi al versetto 14 è evidente e chiaro che le tenebre prima della creazione, quindi della presenza della luce, erano perennemente “tenebre” ovvero assenza di qualsiasi luce e presenza materiale e divina, “non era, era il nulla”.
Il Signore con il dono della Luce “materiale”, percepibile, quella da Lui creata, nostra fonte universale di Luce Spirituale e fisica, “è, e da esistenza e forma alla notte”, periodo quotidiano lievemente rischiarato dalle “luci minori”.
La notte è un momento o tempo dell’alternarsi con il giorno illuminato e splendente della Luce principale del Sole, nella sua concretezza materiale e teologica che rimanda simbolicamente alla esistenza dell’Unico Vero Dio.
La presenza assoluta di luce, senza l’alternarsi del giorno con la minor o minima luce della notte, è la “Luce Eterna”, senza tempo, ovvero è lo splendore dell’Eternità che può definirsi un “Infinito senza tempo”, nostra Patria Celeste, riferendosi al pensiero Tomista, ove tutto splende senza necessità di “riposo”, per sempre.
La simbologia teologico e catechetica, formata dai Padri della Chiesa, assunse quale simbolo della presenza quotidiana nella nostra vita di Cristo, il Sole, che nasce e crea sempre i primi chiarori quotidiani, illumina il Creato, la terra, sino al massimo splendore nella metà del suo apparire, proseguendo nel lasciare lo spazio con la sua assenza alla notte rischiarata dalla Luna, per i Padri della Cristianità simbolo della Chiesa stessa, corpo di Cristo vivente, presente nella vita nei periodi nell’assenza del Sole (Cristo)  quale sua testimone, in attesa del ritorno del Sole stesso (Cristo), in un continuo alternarsi sino al giorno della Resurrezione, momento in cui non ci sarà più “notte” e “giorno”, ma Luce perenne.
Le “tenebre” nel loro senso profondo, di assenza totale, non sono più da quando il Signore creò giorno e notte, la quotidianità cronologica e continua che scandisce la vita dell’essere vivente, Creatura di Dio a sua immagine e somiglianza.
È bene aver elementare coscienza che, nella realtà quotidiana, la Luna splende per luce riflessa del Sole, come nel simbolismo descritto dai Padri della Chiesa, ovvero la Chiesa vive e splende di Luce riflessa di Dio Trinitario, Padre, Figlio e Spirito Santo.
Cristo istituì la eucarestia, ovvero il miracolo della Sua presenza nel Pane e nel Vino con la celebrazione eucaristica durante la notte in cui fu tradito, divenendo il giorno della Sua morte, egli stesso, “tenebre su tutta la terra”.
La notte nella sua poliedrica valenza è il tempo in cui Dio diede inizio al Cammino di Salvezza del Suo popolo per sempre, con l’esodo dalla terra egiziana, ovvero dal “mondo” dai “modi idolatrici”, sino a quando tempo vi sarà, per liberarlo da tutte le illusorie certezze di felicità basate su “concretezze create dall’uomo stesso” e che quindi nulla sono se non frutto della vanità, quando assunti come mezzo di sicura salvezza, illudendosi così l’uomo di potersi salvare solo con i frutti della propria opera non sperando sempre per la sua salvezza e felicità nell’affidarsi coscientemente a Dio.
La notte, senza la fede in Dio e in Cristo è morte, con Lui è principio e alternarsi di momenti nel cammino per la salvezza, come illustrano le parole della Bibbia che testimoniano il tragitto e i modi dell’esodo del popolo di Dio dalla terra egiziana (Egitto), in cui la nube creata dal Signore, che prolungava la notte per gli Egiziani, era luce per il popolo di Dio unico e vero, unito in vita nel suo cammino verso la salvezza dalla Speranza e Carità che la Fede stessa genera e alimenta.
Per il Popolo di Dio, “la notte è il tempo in cui si svolse in modo privilegiato la storia della salvezza”.
La parola “Tenebre” nella Sacra Scrittura può essere compresa come infinta assenza della luce corporea, percepibile con i sensi, e della Luce Divina, ovvero della presenza di Dio nell’anima dell’uomo.
La “notte” è una fase della quotidianità che si alterna al “giorno” e la sua presenza permette di “conoscere” la “luce”, che può essere presente nella notte anche con l’opera concreta e spirituale dell’uomo, che partecipa alle Opere del Creato, in virtù della Grazia di Dio, alla perenne “Creazione”.
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Si stabilì che successivamente alla Celebrazione della Parola “Notte” si proseguisse preparandosi per la successiva Celebrazione dedicata alla Parola “LEGGE” da programmare e svolgere nel  mese di febbraio 2024.
Il Sacerdote celebrante che ci guidò sino a qui e che inizialmente ci diede la possibilità di iniziare il percorso sin ora sinteticamente riassunto partì perchè richiesta urgentemente la sua presenza in un’altra località del territorio italiano.
Furono organizzate alcuni incontri sia catechetici che di saluto al Sacerdote Cileno, Don Christian.
Svolti e conclusi i nuovi incontri catechetici e formativi, successivamente a un ritiro dei partecipanti avvenuto in Sacrofano, (RM) fu programmata nuovamente come già avvenuto in due precedenti incontri nell’anno passato (2023) e nel precedente (2022), la Celebrazione della Parola “Roccia” per il giorno ventisei marzo 2024, alle ore 20.30 nel complesso edilizio della Parrocchia di San Giuseppe al Trionfale.
La compagnia si trasformò con l’arrivo di nuovi partecipanti, la presenza di un Diacono nuova guida, e la assenza dei precedenti partecipanti, tranne che per quattro, Silvia, Angela, Paolo e Giancarlo, che furono presenti quindi anche in tale evento,
ma la precedente Comunità “non è più”, il Signore provvederà.
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continua……..